In un futuro dove le guerre sono state abolite, viene legalizzata la caccia all’uomo per dare sfogo all’aggressività dell’individuo. Una volta accettate le regole del gioco, ogni membro può diventare cacciatore o preda; dopo dieci battute portate a termine vengono concessi onori trionfali. Caroline, compiuto il suo nono omicidio, parte per Roma alla ricerca di Marcello, la sua ultima preda…
Fino a qui tutto a posto, niente di nuovo sotto il sole, per oggi. Il dettaglio interessante è che si tratta di La Decima Vittima, un film del 1965, italiano, per giunta. Diretto da Elio Petri (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto e La classe operaia va in paradiso) e scritto dallo stesso regista insieme a Tonino Guerra, Ennio Flaiano e Giorgio Salvioni il film racconta di un futuro distopico nel quale i governi tentano un’audace normalizzazione dell’assetto sociale attraverso l’accettazione e la ‘moralizzazione’ della violenza: chi sceglie di entrare a far parte dell’assurdo gioco della Grande Caccia lo fa consapevolmente e senza alcuna costrizione o forzatura, con la promessa di un misero tornaconto personale. L’agire violento viene trasformato in gioco, i cacciatori e le prede vivono continuamente all’interno di un reality show globale e le uccisioni più spettacolari vengono utilizzate come spot per le grandi multinazionali sempre alla ricerca di nuove location per fidelizzare un pubblico assuefatto e vorace. Le persone come oggetti facilmente sostituibili.
La componente estetica gioca un ruolo fondamentale nella pellicola, l’influenza della pop art e dell’arte concettuale dei ’60 è palpabile in ogni inquadratura, l’impianto quasi fumettistico (Marcello ne è un vorace lettore) della fotografia restituisce ambientazioni cosi estreme da risultare quasi oniriche. Il mitico Ericofon è onnipresente.
Le location non sono da meno e, soprattutto le scene girate a Roma, restituiscono l’immagine di una collettività sfaccettata ma desolante.
Meravigliose le sequenze della grande scalinata del Velodromo Olimpico dell’EUR, nel film sede del Ministero della Caccia, struttura demolita qualche anno fa, dopo decenni di completo abbandono.
Un‘eresia ultrapop e futurista che anticipa il design degli anni 70 e abbaglia di geometrie e cromie, sottolineando un progressivo ma inesorabile avvio verso il vuoto morale.
Tra una caccia e l’altra, un ossigenato Marcello Mastroianni, ironico e sornione, mette alla berlina i vizi e le virtù di una società edonistica e materiale, nella quale i santoni Tramontisti predicano al sole per una marchetta e gli amanti bigotti non si sposano, ma solo perché molto religiosi. Una Ursula Andress atomica metterà forse in discussione l’arido cinismo del protagonista, ma nella assurda finzione della caccia niente pare essere quallo che sembra. Elsa Martinelli sensualissima nei panni dell’amante di turno.
Satira potenzialmente feroce, il film si inceppa proprio nel finale, quando il conflitto tra Petri e il produttore Carlo Ponti diventa insanabile. La pellicola cambia così completamente registro e sembra addirittura che il regista abbia abbandonato il set e affidato il cast ad un sostituto; nel finale da commedia romantica anche Matroianni sembra sentirsi fuori luogo.
Epilogo a parte, il film rappresenta un esempio fulgido di un genere poco esplorato dalla filmografia del nostro paese, girato con mezzi produttivi sopra alla media ma comunque non paragonabili a quelli dell’industria d’oltre oceano e di un certo cinema europeo. Facendo di La Decima Vittima un campo ideale per una trasposizione allegorica dei costumi contemporanei, Petri vi riversa molte delle tematiche e delle denunce che caratterizzeranno i suoi futuri capolavori e che renderanno molto difficili i suoi rapporti con i grandi produttori.
Ottimo, come sempre il commento musicale del grande autodidatta Piero Piccioni. Mina canta Spiral Waltz, sui titoli di coda.