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Mentre Hollywood raccontava il pomposo medioevo dei grandi cavalieri, delle battaglie eroiche, delle sfarzose giostre e dei blasoni nobili, il 7 aprile 1966 – cinquanta anni fa – L’Armata Bracaleone usciva nelle sale italiane dipingendo un inedito e divertentissimo spaccato della quotidianità e della tragicomica crudeltà dell’alto medioevo.
In un mondo colorato da bifolchi, pestilenze, saccheggi e predicatori, Brancaleone da Norcia (un maiuscolo Vittorio Gassman) ci veniva presentato da uno straordinario Mario Monicelli come un rampollo di una nobile famiglia ormai caduta in disgrazia, un guerriero straccione poeticamente pervaso da un senso di nobiltà e dovere proprio dei ceti più altolocati. Il Don Chisciotte nostrano veniva a trovarsi a capo di un manipolo di miserabili, facendone un’improbabile compagnia di ventura con cui prendere possesso del Feudo di Aurocastro.
La forza del film è in un fortunatissimo incontro di talenti. Se infatti Monicelli riesce a creare un universo malinconicamente comico e grottesco, le eccellenti interpretazioni sopra le righe di un cast perfetto gli danno vita (spicca il gigantesco Gian Maria Volontè nei panni del risibile cavaliere Teofilatto), le scenografie e i costumi caricaturali di Piero Gherardi (storico collaboratore di Federico Fellini) ne definiscono il carattere colorato e teatrale, e le musiche di Carlo Rustichelli ne sottolineano in modo indimenticabile il tono goffo e giocoso.
A 50 anni di distanza dall’uscita nelle sale, L’Armata Brancaleone rimane una pietra miliare del cinema italiano e non accenna ad invecchiare.