Presentato al Trieste Film Festival 2021, Sweat di Magnus Von Horn è uno dei cinquantacinque film che nel 2020 hanno ricevuto la cosiddetta “Cannes Label”. Trattasi di opere che erano state selezionate per la 73ª edizione del festival del cinema diretto da Fremaux, eccezionalmente annullato a causa della pandemia. Le pellicole con la “label”, dunque, viaggiano per altri festival in giro per il mondo, rappresentando in qualche modo Cannes e i suoi selezionatori, come i prodotti di una azienda che vengono esposti nelle fiere in tutto il globo.
SWEAT: IL FILM DI MAGNUS VON HORN CON IL BOLLINO DI CANNES 2020
Come conseguenza del bollino della kermesse francese, da una parte l’opera si fregia dell’essere annoverata in un ristretto gruppo di film “da croisette”, mentre dall’altra le aspettative logicamente diventano automaticamente più alte. Sweat viaggia fra le kermesse del mondo non come una possibile sorpresa ma come una garanzia; un’opera che sarebbe stata presentata in un palcoscenico importantissimo e della quale il Trieste Film Festival 2021 ha riconosciuto la qualità.
Sweat (in italiano “sudore”) racconta tre giorni nella vita di Sylwia Zajac (Magdalena Kolesnik), influencer polacca in rapida ascesa che si occupa di fitness e che deve affrontare le conseguenze di un post su Instagram nel quale ha raccontato in lacrime di soffrire di solitudine.
SWEAT RACCONTA CON GRANDE VEROSIMIGLIANZA LA VITA DEGLI INFLUENCER
Il film di Magnus Von Horn (regista e sceneggiatore) comincia con la protagonista che coordina una sessione di allenamento in un grande centro commerciale. La protagonista, salta, corre e incita le fan ad impegnarsi, ma soprattutto ad “allenarsi con il proprio corpo e non con il corpo che vorremmo”. Uno slogan che vuol dire poco, ma che risulta verosimile.
Finito l’allenamento poi Sylwia si “getta” nella folla a godere in mezzo a selfie, foto, e lodi della sua fama e popolarità. Entra in spogliatoio e guarda video postati dalle sue fan nelle quali la ringraziano per quello che fa, per l’aiuto che fornisce loro e per la sua grande abilità nel motivare una persona.
Una protagonista ben scritta e lontana dallo stereotipo
I primi dieci minuti di Sweat raccontano benissimo che cosa siano, nel bene o nel male, gli influencer: il mandare messaggi magari un po’ melensi e banali, i quali però se raccontati nel modo giusto possono davvero aiutare anche minimamente diverse persone a vivere meglio. Inoltre, già da subito il film di Von Horn si smarca da quel noioso stereotipo secondo il quale le personalità che hanno successo online poi finiscono a vivere solamente in rete e a chiudersi in una bolla fatta di social media.
Sylwia si mangia la folla, la carica come una rockstar. Anche quando incontra le fan in giro per la strada, la influencer è capace di trattare con loro, di aiutarle in momenti difficili e di dissipare l’invidia che esse hanno nei suoi confronti. Più volte infatti nel film Sylwia si trova ad incrociare delle ammiratrici che le dicono di voler essere come lei, di avere le sue gambe, il suo addome etc. La protagonista mantiene la maschera e chiosa sempre allo stesso modo:“Allenatevi e ce la farete”!
UN FILM CHE RISCHIA DI PERDERSI A METÀ PER POI RECUPERARE CON UN GRAN FINALE
Nei primi trenta minuti la vita della protagonista viene raccontata come un grande idillio, fatto di successo, fama e denaro, con brand che la sponsorizzano e un invito ad un importante programma televisivo mattutino (l’invasione del mondo del web in tv è sempre una cosa “straordinaria”). Questa rappresentazione crolla nel momento in cui la protagonista posta online un video nel quale si lamenta della sua solitudine ed esprime il desiderio di avere un fidanzato e dell’amore nella sua vita.
La “sofferenza” di Sylwia viene poi messa in scena durante il pranzo per il compleanno della madre sotto forma di incomprensione da parte della sua sfera familiare verso il suo lavoro. Dai parenti e dal fidanzato della madre lei viene quasi presa in giro e quando racconta di aver incontrato uno stalker sotto casa il fatto viene sminuito da parte della famiglia.
Sweat sembra quasi perdersi durante questa lunga sequenza, poiché lo script è più interessato a sottolineare lo status di “outsider” della ragazza agli occhi delle persone che non prendono seriamente il suo mondo. L’opera perde un po’ il ritmo, si rallenta e si allontana leggermente dalla storia principale per poi tornarci in picchiata nel bel finale.
SWEAT, LA VITA DIETRO IL WEB
In conclusione, Sweat paga un po’ l’inesperienza dello sceneggiatore e regista (solo al suo secondo film) per quanto riguarda lo sviluppo delle idee – che pur ci sono: vengono ben presentate ma faticano a diventare intreccio per le deviazioni che prende la sceneggiatura. Il corpo centrale del film è più lungo del dovuto, nonostante sia necessario ai fini della trama.
Tuttavia l’opera ha un grande pregio: la dignità che viene data al lavoro della protagonista. Sweat è un film con protagonista una influencer, non un’opera incentrata solamente su cosa siano le influencer. In altre parole, non è un documentario che si limita a descrivere una professione bensì racconta le conseguenze, i pro e i contro della vita di chi è onnipresente sui feed di Instagram e può solo marginalmente costruirsi una vita privata.