I Never Cry (Jak Najdalej Stąd) è il quarto film del promettente regista polacco Piotr Domalewski, già vincitore con il suo cortometraggio Sixty Kilos of Nothing del concorso cortometraggi della 29ma edizione del Trieste Film Festival. Ed è nuovamente la rassegna triestina sul cinema dell’Europa centro-orientale ad ospitare il suo ultimo lavoro, stavolta nella sezione lungometraggi.
I Never Cry: la storia di Ola e le nuove generazioni Erasmus
Ola, interpretata dall’esordiente Zofia Stafiej, è la tipica diciassettenne che ancora non sa bene come gestire la sua vita e le conseguenze che portano parole ed azioni. È un’adolescente come tante, con la testa sulle spalle ma anche con una vena di ribellione nel sangue. Insieme alla madre si prende cura del fratello disabile, mentre il padre si trova nella Repubblica d’Irlanda per lavoro.
Spera di poter diventare tassista e segue (infruttuosamente) le lezioni di scuola guida, nell’attesa che il padre le mandi il denaro per acquistare un’auto. La giovane protagonista sarà presto costretta a cambiare i suoi piani e volare da sola a Dublino per riportare a casa la salma del padre, morto improvvisamente in un terribile incidente sul lavoro. Il viaggio, affrontato con apparente freddezza, spingerà Ola a stabilire un rapporto ideale con il padre defunto, ripercorrendo la sua storia personale, ma si troverà anche davanti ad un dramma sociale, come la migrazione economica dei suoi concittadini polacchi. Un duro colpo per un’adolescente che sta crescendo con il sogno della generazione Erasmus e l’ideale di un’Europa unita, anche dal punto di vista economico e sociale.
I Never Cry è un film di confine che affronta due livelli narrativi
I Never Cry è un film che attraversa i confini di due Nazioni, che si trovano entrambe sotto la bandiera europea. Il regista, utilizzando un doppio piano narrativo, racconta la storia della protagonista ma anche la questione migratoria. Da un lato della storia vediamo la crescita di Ola e il suo viaggio in solitaria alla scoperta di se stessa, ma anche del padre, di cui sentiamo viva la presenza già dai primi minuti del film.
Dall’altro il regista utilizza l’espediente della morte e del viaggio, per raccontare la difficile via dell’integrazione per i suoi concittadini e per altri cittadini europei (soprattutto di Nazioni che non hanno ancora adottato l’Euro), che hanno lasciato casa e affetti per lavorare fuori confine. Con un taglio documentaristico Domalewski ci guida nelle strade di Dublino, tra le agenzie di collocamento affollate, nei quartieri più degradati e all’ombra di cantieri dove i lavoratori vivono in comunità, lontani sia dalla loro precedente vita che dal futuro in un altro Paese. La speranza della generazione di Ola è che le differenze sociali e culturali diminuiscano fino a scomparire, proprio come il sogno d’Europa.