Se c’è un linguaggio, nello specifico un linguaggio visivo, che nell’epoca della crisi pandemica del Covid-19 è andato ad affermare la sua predominanza su ogni forma di comunicazione, di certo questo linguaggio è quello delle webcam. Telecamere a più o meno bassa risoluzione, più o meno integrate nei PC, negli smartphone, nei tablet e chi più ne ha più ne metta che nel corso dei turbolenti mesi del 2020 hanno posto in comunicazione milioni, se non miliardi di persone tutto intorno al globo. L’assunto dal quale l’attrice Natalie Morales (Park and Recreation, Dead to Me, Santa Clarita Diet, La Battaglia dei Sessi) parte per la sua prima direzione dietro a un lungometraggio è quindi estremamente semplice e contingente alle necessità produttive del periodo vissuto. Il suo Language Lessons, presentato in anteprima al Festival di Berlino 2021 nella sezione Berlinale Special, non fa altro che mettere in contatto davanti a uno schermo due persone, la Cariño interpretata dalla stessa Morales e l’Adam di Mark Duplass. Il marito di quest’ultimo gli ha infatti regalato una lunghissima sessione di lezioni di spagnolo da tenere con l’insegnante Cariño che attualmente vive nella lontana Costa Rica, ben distante dalla lussuosa villa statunitense dove Adam spende le sue giornate.
Language Lessons è l’ottimo esordio alla regia di Natalie Morales
Le premesse sono quindi semplici com’è semplice lo statuto filmico di cui il film della Morales va subito a investirsi, attingendo a un bacino di narrazioni visive che nel breve arco di un anno sono andate a tipizzare e codificare a fondo una tipologia di racconto – quello, appunto, dei riquadri da riunione online – che prima della pandemia mondiale esisteva, sì, ma cinematograficamente circoscritto perlopiù a horror a basso costo creativo.
La principale mossa vincente di Language Lessons è però una scelta tanto semplice quanto brillante se contestualizzata al periodo storico, ovvero quella di utilizzare questo espediente narrativo, per certi versi e per certi budget obbligato, lasciando fuori il discorso della pandemia che nel film non trova posto e forse nemmeno esiste. Pare essere una decisione da poco, ma nell’economia dell’incontro tra Cariño e Adam non lo è affatto poiché sveste sin da subito il lavoro della Morales dell’inconscia pesantezza di una costrizione che in quel tipo di linguaggio riconosce la costante, tacita presenza di un dramma che altrimenti sarebbe onnipresente in ogni dialogo, in ogni sfumatura della voce, in ogni smorfia del volto (unico atlante d’empatia possibile).
E svuotare Language Lessons di questo drammatico e collettivo elefante nella stanza permette al film di articolarsi in maniera estremamente brillante nell’altalena dei piccoli, giganteschi drammi che invece continuano a popolare la quotidianità di ogni individuo e che ne caratterizzano gli umori e gli approcci alla vita, lasciata in quel fuoricampo dello schermo spento che va sondato un poco alla volta, con il dialogo, nel tentativo di avvicinamento impossibile all’altro estremo del terminale connesso online (“I don’t know if you’re real”).
Il linguaggio da webcam al servizio di una genuina amicizia
Perché è chiaro, da un approccio del genere non rimangono esclusi gli stilemi di una riflessione che guarda a come la dimensione privata abbia sfumato certi suoi contorni (dalle riunioni in pigiama, alle inattese invasioni di campo) in favore in di un terreno grigio dove il pubblico si appropria degli spazi intimi di una camera da letto o di un salotto. È l’incontro/scontro tra realtà distanti che la Morales, in sceneggiatura assieme a Duplass (i due avevano già collaborato assieme alla serie HBO Room 104 e si vede dalla loro ottima affinità), declina in maniera estremamente sagace anche nell’affrontare un sottotesto di distanza culturale ed economica che nell’inaspettata entrata in contatto rischia di creare imbarazzanti frizioni e, soprattutto, permette di delineare una caratterizzazione di questi due personaggi che dona incredibile tridimensionalità alle loro accennate vicissitudini di vita.
Anche le intemperie della connessione internet, così come le scorie visive di una bassa qualità della risoluzione video intervengono in maniera sottile a contornare questi frammenti d’esistenza dove l’azione del cinematografico è ridotta al minimo (c’è solo un delicato e azzeccato accompagnamento sonoro) e si attiene a mostrare solamente, passo dopo passo, ciò che Cariño e Adam si mostrano a vicenda nell’approfondire la loro atipica amicizia. È un racconto, quello di Language Lessons, che nella sua semplicità si carica di un’arguzia inizialmente insospettabile, così come è in grado di creare un incredibile dinamismo narrativo attraverso semplici ma efficaci svolte di una davvero ottima scrittura a cavallo tra ironia e dolore, capace con il suo gratificante finale di consegnare anche la risposta più carica di speranza a quella pandemia alla quale non guarda mai.
immagine © Jeremy Mackie