Petite Maman, presentato in concorso al Festival di Berlino 2021 e disponibile in DVD CG Entertainment, rappresenta una fase delicata nell’evoluzione della sua autrice. Infatti Céline Sciamma, celebrata regista e sceneggiatrice francese di Water Lilies, Diamante Nero e Tomboy, è reduce dallo straordinario successo di critica e pubblico di Ritratto della Giovane in Fiamme, nominato ai Golden Globe e vincitore per la miglior sceneggiatura al Festival di Cannes.
Nonostante la filmografia della Sciamma fosse già di ottimo livello, il film con Adèle Haenel ha rappresentato un vero spartiacque della sua carriera, ed è evidente come questo nuovo lavoro rappresenti tanto per l’artista quanto per il suo pubblico un appuntamento particolarmente carico di aspettative.
Petite Maman purtroppo tradisce proprio questa ‘ansia da prestazione’ della Sciamma, e si colloca in un terreno ibrido nel quale la splendida idea alla base del film configge a tratti con una direzione delle giovani interpreti un po’ troppo artefatta. Sembra un passo indietro nel percorso artistico dell’autrice, da un certo punto di vista, ma solo in apparenza: la pellicola in realtà regala un’esperienza destinata a sedimentarsi nello spettatore con grazia e inamovibilità – anche senza i pittoricismi del predecessore.
PETITE MAMAN, LA TRAMA DEL NUOVO FILM DI CÉLINE SCIAMMA
Siamo in una cornice temporale sfumata, che potrebbe collocarsi negli anni ’70 come nel presente. Nelly, una bambina di 8 anni, sta aiutando i genitori a liberare casa di sua nonna appena morta; la casa in cui sua madre è cresciuta. Un giorno, dopo che la genitrice se n’è andata senza preavviso né spiegazioni, vagando nei boschi circostanti incontrerà una sua coetanea, che si chiama come sua madre e che vive dall’altra parte del bosco in una casa esattamente identica alla sua. Sarà l’inizio di un’amicizia immediata e naturale, ma carica di una consapevolezza soprannaturale.
DOPO RITRATTO DELLA GIOVANE IN FIAMME LA STORIA DI UN INCONTRO IMPOSSIBILE, UN FILM STRAORDINARIO
È il titolo stesso di Petit Maman a suggerire lo snodo centrale del brevissimo film (appena un’ora e dodici minuti): l’incontro della giovane protagonista con la madre quando aveva la sua stessa età e col suo mondo. Una premessa tra il fantascientifico o il metafisico, che però Céline Sciamma tratta con assoluta spontaneità. Niente viaggi nel tempo o magia: quell’incontro miracoloso semplicemente accade, come un’ipotesi immaginaria che si reifica nella materia filmica; come qualcosa che all’improvviso è semplicemente possibile.
Le potenzialità di tale idea di partenza sono evidenti, e l’incontro di Nelly con la giovanissima Marion, e poi con la sua casa indietro nel tempo e con l’amata nonna che non è più morta bensì di 25 anni più giovane, è semplicemente commovente. Spunti non inediti, ma che per la carica emotiva e la semplicità con la quale vengono portati sullo schermo fanno di Petite Maman un film straordinario.
UN’OPERA MALINCONICA IN CUI I BAMBINI SONO QUASI INDISTINGUIBILI DAGLI ADULTI
La Sciamma ebbe l’idea per il film durante la promozione di Ritratto della Giovane in Fiamme e, dopo averla sognata di continuo, ne ultimò la scrittura durante il primo lockdown. Tutta l’intensità di cui il film è intriso basterebbe a farne un’opera intima, profonda e malinconica. Però qui subentra una certa farraginosità nella messinscena.
La regista e sceneggiatrice, infatti, nello sforzo di caricare di significato ogni scena, finisce per far parlare, comportare e ragionare come adulte le due bambine, con il risultato che ciò che succede sullo schermo troppo spesso ha un respiro artificioso, eccessivamente grave, esasperatamente impegnato. È evidente che i personaggi di Nelly e Marion, nelle intenzioni dell’autrice, avvertano il peso della malinconia più di quanto non accada comunemente alla loro età, ma su tale elemento Céline Sciamma rintuzza con non necessaria insistenza, perdendo in sintonia con le sue stesse protagoniste (che pur rimangono delle bambine).
Così, dietro l’aria fittissima che si respira nella vita di queste due piccole sempre accigliate, posate ai limiti del meccanico, dalla parlata lenta e dai lunghissimi silenzi, si intravede la regista che sente il peso del confronto col suo lavoro precedente. Le atmosfere visive del tardo pomeriggio, che spesso abbiamo incontrato nei suoi titoli passati, le ritroviamo qui come una costante, anche negli ambienti al chiuso: il cono direzionale e basso di un fascio di luce calda proiettato orizzontalmente sulla scena è una costante che lega quasi tutti i frame.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO FINALE DI PETITE MAMAN DI CÉLINE SCIAMMA
I livelli di lettura di un film come Petite Maman sono inevitabilmente molteplici; tutti alternativi e tutti complementari, ma comunque ognuno capace di risuonare con l’esperienza vitale dello spettatore. Nel gioco condiviso, nelle domane sul passato e sul futuro, nel silenzio sconvolto di chi assiste all’impossibile, ritroviamo la quintessenza del tempo e dei legami che ci uniscono. Nonostante le suddette problematiche e un ritmo che è eufemistico definire dilatato, con Petite Maman Céline Sciamma realizza un’opera imperfetta ma potentissima e piena di emozione, un racconto di anime, che riflette sul passato dal quale sono infestati i luoghi (lo aveva fatto anche Lowery in Storia di un Fantasma), sui fili nascosti che ci legano con i nostri cari, sulla proiezione interiore che creiamo di chi ci è vicino e su una ciclicità del tempo che si perpetua segretamente. «Gli occhi sono lo specchio dell’anima», vuole un consunto luogo comune, ma la Sciamma ci invita a guardare in faccia chi ci ha messi al mondo e a vedervi la nostra stessa essenza. L’anima rispecchiata, in quel caso, è la nostra.
immagine @ Lilies Films