Ci vuole coraggio, consapevolezza di sé e anche un po’ di sana incoscienza. Doti, queste, che Fabrizio Ferraro ha dimostrato di possedere girando La Veduta Luminosa, film presentato al Festival di Berlino 2021 nella sezione Forum. Coraggio, per aver messo in scena il “conflitto” tra parola e immagine in un contesto dove «cinema e film si sospettano vicendevolmente»; consapevolezza di sé per aver dimostrato di avere idee chiare e grande padronanza dell’argomento e della macchina da presa, sebbene in un progetto così complesso; infine incoscienza, perché è questa la dote senza la quale non si svelerebbero luoghi, immagini e parole poco frequentati e colpevolmente sconosciuti ai più.
LA VEDUTA LUMINOSA, IL FILM DI FABRIZIO FERRARO ALLA 71. BERLINALE
La Veduta Luminosa ci trasporta nel momento esatto in cui ogni essere umano, prima o poi, ha bisogno di una fuga, non importa da chi o da cosa. La storia è quella di un autore e regista, il signor Emmer (interpretato da Alessandro Carlini), che, ormai stanco, spossato e senza più ispirazione , si mette alla ricerca dei luoghi di Friedrich Hölderlin, poeta tedesco (1770-1843) nei cui versi la natura diventa il tratto d’unione tra l’uomo e il mondo, nella speranza di poter ritrovare una qualche capacità creativa.
Il signor Emmer è accompagnato da Catarina (Catarina Wallenstein), l’assistente del produttore (Freddy Paul Grunert). I due partono da Roma verso Tubinga, arrivando poi nella Foresta Nera, i luoghi più cari al poeta. Ma nulla accade e i “demoni” che muovono le opere poetiche e letterarie si affacciano ancora più minacciosi proprio quando non trovano pace nell’ispirazione e nella creazione artistica.
LA VEDUTA LUMINOSA, ALLA RICERCA DI HÖLDERLIN TRA POESIA E FOLLIA
Due facce della stessa medaglia: l’arte e la schizofrenia. Metaforicamente, forse, l’arte che Hölderlin incarnò nella sua poetica e la schizofrenia che lo colpì e che lo portò ad assumere la nuova identità di Scardanelli. Due diversità che il poeta tedesco aveva avuto la capacità di far comunicare tra loro (“essere uno con il tutto”), ma che non sembra riuscire ne La Veduta Luminosa, dove invece l’incomunicabilità (tra il signor Emmer e Catarina, tra loro e la natura e tra le parole e le immagini) ci accompagna per tutti gli ottantotto minuti di film. La distanza da tutti e da tutto sottende il film in una sorta di gioco di specchi con la poesia di Hölderlin.
La pellicola di Fabrizio Ferraro (autore anche di sceneggiatura, fotografia e montaggio) è audace e, questo va detto, non di facile visione, ma tra le cose che si fanno più apprezzare, non da ultime troviamo gli spazi sospesi, il movimento accordato tra la macchina da presa e il girato e lo sguardo ai luoghi come fosse l’ultimo magico sguardo. Sospesa anche qualche domanda, tra cui, prima di tutte, “dove hai imparato a sorridere?”. Una domanda che torna e che, probabilmente, prelude a nuovi sviluppi e nuove storie.