Inland Empire – L’Impero della Mente, diretto e scritto da David Lynch, arriva grazie a CG Entertainment / BiM / Studio Canal in una nuova edizione DVD e blu-ray da nuovo master HD approvato da Lynch in persona. Laura Dern (Storia di un matrimonio) – è la protagonista indiscussa del primo prodotto lynchiano interamente girato in digitale. Nell’anno dell’uscita del film – il 2006 – il controverso e geniale regista riceveva il Leone d’Oro alla carriera a Venezia.
INLAND EMPIRE – L’IMPERO DELLA MENTE: IL PARADOSSO DELLA RICERCA DI SENSO
La ricerca di significato nei film di Lynch è ormai un tema diventato ozioso, quanto inutile. Soprattutto dopo una sola offerta cinematografica di narrazione lineare (letteralmente), che è A Straight Story (1999). Tuttavia, più che nella risposta, il segno di autorialità di Lynch si configura nel valore della domanda aperta. Non a caso, il “che cosa” è uno dei quesiti iniziali che si pone Susan/Nikki (Laura Dern) in Inland Empire – L’Impero della Mente. L’interrogativo che spinge alla ricerca di senso, in questi termini, si può considerare come il vero motore della narrazione ma anche della grammatica di David Lynch. Oltre il non-senso e l’autoreferenzialità del regista, le forme della rappresentazione e le immagini ne mostrano la forte vocazione visionaria.
È SUCCESSO A DAVID LYNCH: EVOLUZIONI E DEVOLUZIONI PASSANDO DA TWIN PEAKS
L’idea dell’immagine come visione – dovuta anche alla meditazione trascendentale da sempre praticata da Lynch – ha ovviamente segnato i lungometraggi dell’autore di Mossoula sin da Eraserhead, ma è ben rappresentata nella parabola evolutiva da I Segreti di Twin Peaks (1990-91) a Twin Peaks (2017). Infatti, la terza stagione della celeberrima serie ristruttura grammaticalmente lo show partendo da quella evoluzione (o devoluzione) di ciò che il cinema di Lynch è diventato nel tempo. In Inland Empire – L’Impero della Mente tutto diventa immagine e meta-immagine, passando per le manifestazioni televisive di sit-com e talk show. La protagonista Nikki/Susan è infatti personaggio reale e immaginario, persona reale e attrice. Questa impostazione genera un’intersezione confusa, e squisitamente lynchiana, fra livelli narrativi diversi. La consapevolezza che nasce dalla percezione cosciente di questa confusione ha come effetto straniamento e smarrimento. Da qui le inquadrature in primo piano strette e deformate, come effetto schiacciante del non-senso che incombe, comprimendo l’ordine razionale del mondo.
IN INLAND EMPIRE – L’IMPERO DELLA MENTE I PIANI DELL’ESISTENZA VENGONO TOTALMENTE SCONVOLTI
Inland Empire – L’Impero della Mente è una fluttuazione quantistica di situazioni diverse, simulazioni di realtà alternative. La confusione fra sogno e realtà, che si era già visto in Mulholland Drive (2001) viene qui portata all’esasperazione con un totale sconvolgimento dell’ordine cronologico. Personaggi entrano ed escono confusamente nella doppia vita di Susan/Nikki. Tra questi l’enigmatica e profetica signora della porta accanto – qui Grace Zabriskie, attrice-feticcio di Lynch, già madre di Laura Palmer. La sdoppiata protagonista, incapace di distinguere fra lo spazio delle riprese e quelle della vita reale, confonde anche la verità della sua vita sentimentale con Davon/Billy (Justin Theroux). Lynch predispone un lavoro che lo proietta sempre di più verso la confusione fra piani dell’esistenza, in cui l’attore è insieme reale e maschera sociale.
OLTRE LA FORMA, LYNCH AMA TURBARE L’ORDINE DELLA VITA SCHIACCIANDO LA RICERCA DEL SIGNIFICATO
Le immagini di Lynch non sono perturbanti, ma totalmente alienanti. Spesso queste ricercano disperatamente un modo per esprimere la costitutiva mancanza di senso. L’idea è quella di una sospensione meditativa del mondo della vita come continua pulsione e ricerca. Inland Empire – L’Impero della Mente è il cedimento della ragione rispetto alle sue rappresentazioni ordinate, qui ingarbugliate in forma metatetica. Nell’articolazione fra maschera e volto, l’illusione come cristallizzazione della realtà, il ritaglio e l’inquadratura sghemba vengono qui riproposte sul piano della relazione inter-psichica. Lynch è ormai già oltre le deformazioni corporee (Eraserhead, 1977; The Elephant Man, 1980), entra nel piano psichico per rivelarlo in quanto intrinsecamente amorfo. Effetto reso da una fotografia assolutamente delirante, con riprese disconnesse ed effetti scenografici psichedelici.
IN INLAND EMPIRE – L’IMPERO DELLA MENTE, IL COMPOSITORE POLACCO PENDERECKI ALIMENTA IL VALORE DELLA SOSPENSIONE
Questo senso di turbamento, di deformità entra immediatamente nella narrazione con lo zoomorfismo e la sit-com sugli uomini-coniglio – tra i quali c’è anche Naomi Watts. Questi derivano dalla serie di cortometraggi Rabbits del 2002 e sono il referente simbolico che trascina lo spettatore nel buio assoluto delle forze inconsce. Qui, la metafora è di chiara ascendenza carolliana e relativa inversione logica del mondo; la stessa cosa avviene per la scatola blu di Mulholland Drive. Il tutto è arricchito dalla colonna sonora di Penderecki, compositore per L’esorcista di Friedkin e Shining di Kubrick. Le note trasformano ogni scena in una delirante sospensione, generando anche un limbo sonoro. Così quella di Susan/Nikki diventa una ghost story lontana da ogni riferimento concreto, storico e reale.
DAVID LYNCH E LE (IM)POSSIBILI RISOLUZIONI DELLA (NON) NARRAZIONE
Sul finale, si arriva a un capovolgimento narrativo da surrealismo lynchiano che costringe qui solo parzialmente a rielaborare la narrazione. In Inland Empire – L’Impero della mente, il significato diventa sempre più stratificato e la risoluzione quasi impossibile. Si entra nella mente confusa di Nikki, guardando il mondo con i suoi occhi e relative paranoie e deformazioni. Il tutto si regge sul gioco di una soggettiva, in cui interno ed esterno si sovrappongono seguendo le rappresentazioni possibili del Sé. Se Inland Empire – L’Impero della mente introduce e rivela il senso dell’indeterminato, questo continua a permanere nonostante il tentativo di risoluzione finale. Quella di Lynch nei confronti di Nikki (e dello spettatore) si rivela essere una triste, quanto realistica, forma di condanna ed esilio nell’impero della mente.