Guardando Rifkin’s Festival, nuovo film di Woody Allen distribuito in DVD e Blu-ray da CG Entertainment e Vision Distribution, torna in mente un aneddoto legato a Hollywood Ending (2002), titolo del cineasta newyorkese nato da degli appunti che questi aveva scritto diversi anni prima sul retro di un quaderno.
Un processo creativo che ritroviamo in una delle più belle scene di Woody, fantastico documentario di Robert B. Weide del 2012 sulla vita del regista di New York: vediamo il metodo di lavoro del regista, che scrive ancora i suoi film su una vecchia macchina di scrivere in una piccola stanza. Accanto la scrivania si trova poi un cassetto all’interno del quale sono conservate le idee per i film futuri: piccoli disegni, “pizzini”, incipit, battute e altri spunti appuntati nel corso degli anni.
RIFKIN’S FESTIVAL: APPUNTI E IDEE PER IL NUOVO FILM DI WOODY ALLEN
Rifkin’s Festival – nel bene e nel male – è un film fatto di appunti, vecchie idee e battute scritte in fretta dal regista in taxi o durante un viaggio. L’ultima opera di Woody Allen è infatti imperniata attorno a personaggi che abbiamo già incontrato nella sua filmografia e segue schemi già noti senza osare come faceva Allen negli ultimi suoi film, da Irrational Man a Blue Jasmine.
Rifkin’s Festival è ambientato durante il celebre Festival cinematografico di San Sebastian, una splendida località balneare nei Paesi Baschi – e nel film i protagonisti non fanno che ripetere che San Sebastian è un paradiso. Mort Rifkin (Wallace Shawn) è un professore universitario e studioso di cinema che attualmente sta cercando di scrivere il suo primo romanzo e si trova a San Sebastian per il lavoro di sua moglie Sue (Gina Gershon), una stimata “publicist” assunta dal giovane regista francese Philippe (Louis Garrel) per curarne la promozione dell’ultimo film.
RIFKIN’S FESTIVAL E QUELLA GALLERIA DI ‘VOLTI NOTI’ DAL CINEMA DI ALLEN
Nell’enorme produzione cinematografica di Woody Allen – circa un film all’anno da 60 anni – esiste un filone piuttosto celebre e di successo, quello dei “film europei”. Se si esclude To Rome With Love, gli altri ambientati nelle grandi capitali del vecchio continente hanno qualcosa di speciale. Sono opere uniche, originali, capaci di deridere ed elevare i tipici stereotipi degli abitanti delle nazioni in cui sono ambientati.
In Rifkin’s Festival si incontrano il fascino snob e altezzoso dei francesi, impersonato da Louis Garrel, e la passione latina degli spagnoli, incarnata dalla dottoressa Rojas (Elena Annaya). Sono loro due gli agenti provocatori della crisi coniugale che scoppia sin dal principio fra Wallace e sua moglie, due americani che – come spesso succede nei film europei di Allen – rimangono completamente ammaliati davanti alla bellezza e al carisma di due individui lontanissimi da loro: più belli, più sexy e con molte più storie da raccontare di loro.
I personaggi di Garrel e Annaya sono riproposizioni di precedenti maschere del cinema di Allen, provenienti rispettivamente da Midnight in Paris e Vicky Cristina Barcelona. Philippe è l’artista francese che parla per massime, che racconta se stesso attraverso dichiarazioni posticce alla stampa sul senso del cinema e dell’arte; Rojas è invece una donna che fa un mestiere canonico ma che aspira a molto di più, che vive di passioni, che si sente artista nella misura in cui crede di avere qualcosa dentro e lo vorrebbe tirare fuori scrivendo, dipingendo e così via.
IL NUOVO FILM DI WOODY ALLEN È FAMILIARE MA NON HA QUELLA FORZA CINICA CUI IL REGISTA CI AVEVA ABITUATI
Rifkin’s Festival si muove dunque in un territorio familiare ai conoscitori di Allen, raccontando dinamiche di coppie all’interno delle quali i protagonisti approfittano di una ‘fuga’ da casa per cercare qualcosa di nuovo e di tirare finalmente fuori dei desideri repressi. Tipicamente questo viene raccontato con grande ironia nelle sceneggiature di Woody, nelle quali i personaggi vengono presi in giro, compatiti, osservati con cura e misura dalla macchina da presa. L’ultimo script di Allen però, a differenza del passato, non ha quella voglia caustica di prendere un po’ in giro il materiale raccontato; manca l’umorismo cinico che ha spesso caratterizzato il “Woody” più amato.
In conclusione Rifkin’s Festival, pur essendo un ottimo film che trascina lo spettatore nella storia e compiace il cinefilo citazionista, risente del fatto che inevitabilmente a 85 anni la verve artistica di Woody stia piano piano giungendo al termine e che il regista di New York stia entrando, davvero, nella fase calante della carriera.