L’Apparenza delle Cose (Things Heard & Seen), horror-thriller di Shari Springer Berman e Robert Pulcini distribuito direttamente su Netflix, è il libero adattamento del libro di Elizabeth Brundage e vede nel cast Amanda Seyfried, James Norton, Natalia Dyer e F. Murray Abraham. Collocandosi sulla linea dell’american gothic, il film di Berman e Pulcini non solo destruttura il romanzo, ma scade in uno script che schiaccia fra loro tematiche diverse, inceppando il meccanismo narrativo. Dopo la rivalsa del gotico di Flanagan avuta con Hill House e, un po’ meno, con Bly Manor, L’Apparenza delle Cose (Things Heard & Seen) rappresenta una considerevole regressione di stile.
L’APPARENZA DELLE COSE TRA CASE DI CAMPAGNA, MISTICISMO E TRAGEDIE ESISTENZIALI
Nel 1980, la giovane Catherine (Amanda Seyfried) si trasferisce in una sperduta casa di campagna, spinta dal nuovo impiego del marito (James Norton). Credente devota, soprattutto in riferimento ai fenomeni paranormali, la protagonista inizia un’epopea tra apparizioni, sedute spiritiche e tragiche verità familiari. L’intersezione tra vite parallele, bugie e tradimenti amplifica il tono drammatico del film fino all’esasperazione.
BERMAN E PULCINI DEFORMANO IL ROMANZO DI BRUNDAGE, GIÁ PARTENDO DAL TITOLO
Il problema, in realtà, parte già dalla deformazione del titolo. L’originale del romanzo, All Things Cease to Appear, manifesta già un intento poeticamente diverso. La profondità che delle pagine della Brundage si intravede solo parzialmente nelle pieghe del film di Berman e Pulcini. Contemporaneamente Amanda Seyfried palesa una continua espressione più spiritata dei fantasmi che le appaiono. Tutto questo nella solita cornice che vede una moglie allucinata vivere sola con la figlia mentre presenze paranormali ogni tanto accendono e spengono luci in casa, mentre il marito si dà alla bella vita extra-coniugale nel college in cui insegna. In buona sostanza, L’Apparenza delle Cose (Things Heard & Seen) – seppure osi toccare nervi scoperti intrecciando lo psico-patologico e il para-psicologico – aggroviglia le linee tematiche.
L’APPARENZA DELLE COSE NON È COME VUOLE APPARIRE
La relazione fra realtà e apparenza, che si esplica nel disturbo alimentare di Catherine e nelle false proiezioni identitarie del marito George, trovano nello sfondo orrorifico del film una connessione non esaustiva – seppure i registi tentino di farlo per ben due ore (minuto più, minuto meno). L’Apparenza delle Cose (Things Heard & Seen), che utilizza le citazioni auliche degli Arcana Coelestia di Swedenborg, non riesce a garantire uno script che contro-bilanci o che renda giustizia a quei riferimenti. Tra teosofie moderne, docenti specializzati in sedute spiritiche e verità deformate, il film di Berman e Pulcini, ironicamente, non è ciò che vuole apparire.
L’APPARENZA DELLE COSE E UN INTRECCIO TEMATICO DISFUNZIONALE
L’intento originario del romanzo rimane quello di analizzare una pluralità stratificata di fenomeni. Questa operazione analitica sul “ciò che appare” (da cui il derivato del lemma “fenomeno”) fallisce nel film. I due registi riescono magistralmente a fare con il loro prodotto ciò che fece Kant destrutturando le argomentazioni psicotiche di Swedenborg. In L’Apparenza delle Cose (Things Heard & Seen) il sogno visionario di condensazione tematica fallisce. Rimane, infatti, il tragico ripiego sulla realtà umana delle relazioni, con i fantasmi apparsi in maniera funzionale ma non strutturale, giusto per provocare qualche jump scare. Quello che resta è, effettivamente, un continuo sforzo autoriale di voler dire altro, di cogliere un’essenza oltre la rappresentazione che, purtroppo, non si riesce né a sentire, né a vedere.