La popolarissima e incredibilmente longeva saga videoludica di Mortal Kombat non ha bisogno di presentazioni: arrivato al capitolo numero 11, il picchiaduro a incontri ideato nel lontano 1992 da Ed Boon e John Tobias è uno dei videogiochi più iconici di sempre. Un tale successo non poteva non accompagnarsi a degli adattamenti cinematografici e televisivi, il più noto dei quali è l’omonimo film del 1995, piccolo gioiello kitsch comparabile solo a quello Street Fighter – Sfida Finale che fece da apripista un anno prima. Se il film degli anni ’90 risentiva di tutta la naïveté e mancanza di mezzi di allora, il nuovo film di Mortal Kombat datato 2021 – un vero e proprio reboot, con un budget tutt’altro che impressionante di 55 milioni – non può invece che cercare toni più seriosi e violenti.
Mortal Kombat (2021) è diretto dall’australiano Simon McQuoid, che esordisce al cinema ma ha un curriculum di tutto rispetto come regista pubblicitario, con campagne per PlayStation, Halo, Beats by Dre e Range Rover. Distribuito internazionalmente in contemporanea al cinema e in streaming da Warner Bros (che è peraltro proprietaria della NetherRealm Studios, software house del videogame), in Italia il film arriva direttamente su Sky e NowTV il 30 maggio, confermando la partnership che vede i titoli HBO Max arrivare da noi sul network fondato da Murdoch.
IL NUOVO FILM DI MORTAL KOMBAT (2021), NON SOLO SUB ZERO E SCORPION
Se da un’edizione all’altra del videogame abbiamo visto il roster dei personaggi di Mortal Kombat arricchirsi a dismisura, vi è però un pantheon che più di ogni altro ha segnato la mitologia della saga, a partire dagli iconici ninja Sub-Zero (Bi-Han), criomante cinese capace di evocare il ghiaccio in tutte le sue forme, e Scorpion (Hanzo Hasashi), non morto di origine nipponica in cerca di vendetta e armato di kunai. È proprio su buona parte di questo nucleo centrale (con la notevole eccezione di Johnny Cage, che ci aspettiamo di trovare nel prossimo sequel) che è incentrata la storia del nuovo film.
Sin dall’inizio veniamo trasportati nel Giappone feudale da un antefatto sulla rivalità tra Sub-Zero (Joe Taslim) e Scorpion (Hiroyuki Sanada) – le vere star della storia – ma in realtà è un altro il protagonista vero e proprio: un personaggio di nome Cole Young (Lewis Tan) appositamente inventato per il film, che si troverà suo malgrado invischiato in una rivalità oltremondana di cui non aveva mai saputo nulla. Se la scelta di introdurre un nuovo character può sembrare una forzatura penalizzante rispetto alla mitologia del gioco, è in realtà un intelligente espediente per dare un senso ai numerosi e inevitabili spiegoni e per proporre un punto di vista ‘neutro’ sulle fazioni sul campo.
IN MORTAL KOMBAT ANCORA NESSUN TORNEO, MA UCCISIONI E FATALITY IN QUANTITÀ
Fare un film su un videogioco con una fantasiosissima e corposa galleria di mostri e guerrieri magici che se le suonano di santa ragione in un torneo – e rendere il tutto vagamente credibile o serioso – non è certo un’operazione facile. Non c’è quindi da stupirsi che questo primo nuovo film di Mortal Kombat sia un unico grande prodromo per ciò che verrà. La vicenda narrata infatti pone le basi per il celebre torneo, senza però ancora mai mostrarlo. Una scelta opinabile ma comprensibile, che fa i conti da subito con una necessità ineludibile che ha legato le mani degli sceneggiatori: non poteva esistere un adattamento del videogame senza un folto numero di comprimari e un considerevole numero di morti (con relative fatality, che questa volta finalmente non vengono censurate).
Nel film ritroveremo quindi non solo il suddetto duo di ninja antagonisti, ma anche Raiden, Kung Lao, Liu Kang, Shang Tsung, Kano, Goro, Jax, Sonya Blade, Mileena, Nitara, Kabal e Reiko. Un assortimento di tutto rispetto che, in termini cinematografici, significa inevitabilmente sia che la storia avrà necessariamente un approccio corale in cui l’approfondimento riservato ai vari ruoli non sempre potrà essere soddisfacente, sia che alcuni dei personaggi più interessanti faranno prima a morire che a entrare in scena, diventando quindi poco più che entusiasmanti comparse.
MORTAL KOMBAT RISENTE INEVITABILMENTE DEI ‘LIMITI’ IMPOSTI DAL MATERIALE D’ORIGINE
Ogni critica alla sceneggiatura, dall’approfondimento dei personaggi alle ovvie forzature per arrivare in tempi godibili alle scene nelle quali si menano le mani, lascia quindi il tempo che trova: stiamo vedendo un film su una folla di personaggi altamente caratterizzati che si ammazza spettacolarmente a vicenda, ed è proprio questo che il pubblico vuole vedere in un film di Mortal Kombat. Se vi aspettate il capolavoro, probabilmente non state tenendo conto dei ridottissimi margini di manovra degli autori e fareste decisamente meglio a cercare altrove.
Mortal Kombat vuol dire azione, costumi inverosimili, effetti speciali e tanto sangue, ed è proprio su questo terreno che ha senso valutare la riuscita di questa operazione reboot. Ogni paragone con il pur risibile cult di Paul W.S. Anderson del 1995 è inutile: ci troviamo di fronte a due idee di cinema e a due epoche dell’intrattenimento completamente diverse. Sul fronte del worldbuilding la pellicola diretta da McQuoid getta delle ottime premesse, i costumi fanno molto egregiamente il loro lavoro e gli effetti speciali digitali sono di livello non eccelso ma comunque accettabili – non compensando le pessime realizzazioni practical delle ‘trappole di ghiaccio’ di Sub-Zero, a dir poco amatoriali. Il vero problema del film è, per assurdo, la realizzazione dei combattimenti.
MORTAL KOMBAT (2021) E IL BISOGNO DI AZIONE IN PIANO SEQUENZA
Le scene di lotta sono comunque gratificanti e divertenti, ma considerato quanto queste siano al cuore del progetto, sarebbe stato lecito aspettarsi di meglio. Se le coreografie spesso sono tutto fuorché frenetiche, il vero problema è nella regia e nel montaggio. Tanto più che il materiale di partenza è un picchiaduro in cui il round è un’unita temporale ininterrotta e frenetica, nessun film più di questo avrebbe giovato di un’azione al cardiopalma resa con studiatissimi piani sequenza. Quindi niente stacchi e niente tempi morti dovuti a un montaggio tutt’altro che impeccabile: il film aveva il semplice e (facile) compito di trascinarci in un turbinio di pugni, fendenti salti e sortilegi, ma nonostante le ottime doti atletiche di attori e stunt, la resa finale sembra più mortificare che valorizzare gli incontri tra eroi e antagonisti, facendo di questo Mortal Kombat una giostra sicuramente divertente ma non senza difetti.
C’è da sperare che nell’ormai certo sequel, che avrà meno incombenze in termini di introduzione della storia e ci farà finalmente ritrovare nel pieno del torneo, i giusti accorgimenti (o un cambio netto alla regia) possano limare le criticità emerse in questo riavvio. Detto ciò, Mortal Kombat offre comunque quel che il fan o lo spettatore medio si aspettano: poco meno di due ore di puro amore per una saga videoludica ben lontana dall’avvertire segni di stanchezza.