Sarah Paulson è protagonista indiscussa di Run, secondo film di Aneesh Shaganti, al cinema dal 10 giugno distribuito da Lucky Red. Il regista di Searching si apre una strada nel thriller di stampo psicologico scegliendo un argomento audace. Nelle intenzioni di Run infatti c’è un grande potenziale che, purtroppo, non viene realizzato appieno. In scena, insieme alla Paulson troviamo l’esordiente Kiera Allen, attrice realmente in sedia a rotelle, nell’impegnativo ruolo di Chloe.
Run indaga la sottile linea di confine tra amore materno e ossessione
Il soggetto, scritto dallo stesso Shaganti con Sev Ohanian, vuole esplorare i confini dell’amore materno mettendo al centro della scena il rapporto tra Diane (Paulson) e Chloe (Allen), particolarmente legate a causa dei problemi fisici della ragazza. Studentessa modello e particolarmente avvezza alle materie scientifiche, Chloe risente delle conseguenze di un parto prematuro, che le ha provocato problemi di mobilità, asma ed altre patologie che cura con molti farmaci. Sua madre Diane è particolarmente attenta, sia all’istruzione che alla corretta assunzione della terapia di Chloe, ma dietro una donna apparentemente normale si nasconde una terribile realtà. Al centro dell’attenzione c’è il rapporto tra madre e figlia, ma la vera protagonista di Run è la tensione che si respira dal primo all’ultimo minuto, una corda tesa che idealmente segna il confine tra follia e lucidità.
Run è un thriller dalle velleità hitchcockiane che non riesce a penetrare realmente la psiche delle protagoniste
Al di là della narrazione, che scorre piuttosto fluida e lineare, Run si pone un grande obiettivo che è quello dell’indagine psicologica nel rapporto tra madre e figlia. L’evidenza di tale intenzione si evince già dai primi minuti del film in cui Diane esprime le sue emozioni in un gruppo di supporto per genitori con figli disabili. La letteratura scientifica è colma di saggi sulle devianze causate da traumi, psicopatologie e altri fattori scatenanti, ma il regista non si inerpica nell’affascinante quanto complesso rapporto tra genitori e figli, scegliendo di utilizzare l’argomento esclusivamente come base da cui far partire l’iter narrativo. Le problematiche di salute di Chloe sono elementi che fanno da collante per la risoluzione della trama, mentre la suspence cresce costantemente tra le mura domestiche, ma raggiunge il climax in un ambiente esterno, vanificando tutto il lavoro precedente. L’impressione è che Shaganti abbia raccolto una serie di tasselli di un puzzle molto complesso, senza riuscire a ricomporre l’immagine finale. D’altronde quando si inseriscono elementi di psicologia in un thriller è come rompere uno specchio, frammentando e indagando la psiche dei protagonisti.
Aneesh Shaganti, che con Run è al suo secondo film, non convince del tutto
Aneesh Shaganti firma la sua seconda regia dopo il successo ottenuto nel 2018 con il thriller “informatico” Searching. Sembra che ad interessare particolarmente il regista sia la claustrofobia derivata da una scelta obbligata. In Run è rappresentata dalla casa e dalla trappola che ne deriva per una ragazza che obbligatoriamente deve utilizzare una sedia a rotelle, per spostarsi da un punto all’altro dell’abitazione. Il mancato approfondimento dell’argomento portante e un intreccio troppo lineare per un thriller al cardiopalma, che limita i colpi di scena, rendono Run un film poco coinvolgente. Peccato per le ottime interpretazioni di Sarah Paulson, sempre in linea con i suoi personaggi borderline e dell’esordiente coprotagonista Kiera Allen. In particolare la Allen riesce a contrastare con la sua naturalezza interpretativa le tante forzature che troviamo all’interno dello script.