Monster Hunter, il film, arriva in sala il 17 giugno con Warner Bros., ma sarebbe impossibile parlarne senza citare la saga videoludica quasi ventennale di cui si pone come adattamento cinematografico e che gode di un fandom molto specifico e molto esigente. L’universo di Monster Hunter, un vero e proprio cosmo narrativo transmediale, si origina dalla software house Capcom e conta su una serie di videogiochi dove, in soldoni, il pattern è quello di uccidere mostri colossali per ottenere armi migliori per poter andare a caccia di mostri ancora più colossali.
Alla regia troviamo Paul W.S. Anderson, che da sempre frequenta generi ben differenti rispetto agli omonimi Wes e Paul Thomas e che ovviamente gode di una fama ben diversa – poco interessa se sia peggiore o migliore. Basti sapere che Paul W.S. (che sta per William Scott) è un nome consolidato quando si tratta di film tratti da videogiochi, avendo diretto il primo film dedicato a Mortal Kombat (di cui è appena uscito il reboot) e poi diversi capitoli della saga cinematografica di Resident Evil al fianco della survivalist per eccellenza Milla Jovovich, che nel corso degli anni è diventata anche sua moglie e che ricopre il ruolo di protagonista in Monster Hunter e contribuisce in modo decisivo alla cifra stilistica di un’accoppiata economicamente vincente.
L’impronta di Paul W.S. Anderson e Milla Jovovich definisce l’adattamento cinematografico di Monster Hunter
C’è da dire, però, che nonostante alcuni Resident Evil siano diventati una sorta di cult per fanatici masochisti come quello che vi scrive, non è che abbiano mai davvero convinto i videogiocatori ai quali i film dovrebbero far riferimento. E qui arriviamo alla questione che attanaglia molto da vicino Monster Hunter. Siamo convinti che nemmeno a questo giro il caro Paul William Scott (che si occupa anche della sceneggiatura) riuscirà a soddisfare in tutto e per tutto il pubblico.
Dobbiamo riconoscere che lo sforzo dietro al progetto è sicuramente notevole, con un budget stimato attorno ai 60 milioni di dollari ma che è sfruttato nel migliore dei modi. Il film conta infatti su un lavoro di computer grafica con i fiocchi, con alcune sequenze di scontri con i titani tipici della saga che non hanno nulla da invidiare a nessuno e che anzi colmano quel vuoto di opulenza visiva di cui il grande schermo è stato privato dopo che Godzilla vs. Kong ha dato forfait con la distribuzione in esclusiva digitale.
Il punto che andrà a lasciare perplessi molti, in particolare i fan, è il modo in cui si viene catapultati all’interno di questo cosmo narrativo. Natalie Artemis (la Jovovich) è in missione con un gruppo di comprimari per conto dell’esercito degli Stati Uniti e si ritrova improvvisamente in un mondo adiacente al nostro a seguito di una sospetta tempesta che investe il team. Non passerà molto perché la squadra di militari comprenda che da queste parti le cose non quadrano e che le creature fuori scala che popolano questo spicchio di realtà facciano numerosi personaggi.
Monster Hunter tra spettacolo visivo e idiozia narrativa
Da qui in poi il film pare assestarsi su un racconto duro e puro di sopravvivenza con un grande ostacolo da superare assieme all’aiuto di un nuovo co-protagonista (Tony Jaa). Per certi versi è assolutamente geniale instaurare un rapporto di incomunicabilità tra i due (parlano lingue diverse) che quindi si approcciano l’uno all’altra prima a suon di mazzate e poi con siparietti mimati di dubbio gusto, che perlomeno hanno il pregio di risparmiarci la necessità di stupidi dialoghi di riempimento concentrandosi in tutto e per tutto sull’action. Siamo distanti anni luce dalla struttura videoludica, ma perlomeno fin qui Monster Hunter crea un certo tipo di coerenza interna riconoscibile, seppur spicciola. Insomma, c’è consapevolezza.
Ma a tre quarti di film si ha una brusca accelerata, si muove in avanti come un treno e lancia in un nuovo e totalmente differente contesto. Nuovo bioma, nuove creature, nuovi personaggi. Troviamo Ron Perlman (voi direte: perché? Noi rispondiamo: perché no?) con al seguito un variopinto team che pare evocare, dopo un’ora e dieci di girato, le tipicità dei videogiochi. Si assembla rapidamente una squadra e ci si avvia gambe in spalla verso il boss di fine livello con una rapidità assolutamente in controtendenza rispetto a ciò al quale ci ha messo di fronte Monster Hunter sino a qui e si culmina in uno scontro finale che almeno è visivamente spettacolare.
Nemmeno il tempo di riposarsi che ci si scaglia contro la preda successiva tirata a caso fuori dal cilindro, ma qui arrivano i titoli di coda che ci lasciano la sensazione di aver assistito per gli ultimi venti minuti a quello che in sostanza è un lungo spot per eventuali capitoli successivi. A questo punto si è troppo storditi per comprendere quale reazione avere, se di disgusto, perplessità o estasi. Il consiglio è di provare per capire, perché le parole non possono arrivare lì dove la genialità si sfuma assieme all’idiozia.