Sacha Baron Cohen è un provocatore di straordinario talento e intelligenza, di quelli che non lasciano nulla al caso. Chiunque altro avesse provato a immergersi ripetutamente nella melma fin sopra i capelli – esercizio nel quale l’attore britannico eccelle – non ne sarebbe mai uscito, eppure la scientifica ricerca del registro basso e a tratti infimo di Cohen gli ha regalato una fama che è toccata a pochi altri sovvertitori dei pubblici costumi.
In Grimsby – Attenti a quell’altro il suo talento si vede tutto. Lobby Butcher, l’ennesima maschera del comico, è un hooligan dello Yorkshire: povero, alcolista, bifolco e dozzinale, è comunque felice di una vita che per qualcuno con un minimo di ambizione sarebbe un incubo. Questo sosia di Liam Gallagher ha un solo cruccio: trovare il fratello perduto 28 anni prima. È proprio dal ritrovamento del parente, ormai diventato un impeccabile 007 (incarnato dall’ottimo Mark Strong), che una trama da commedia d’azione prende il via all’insegna di un ritmo a tratti sfrenato.
Cohen si trova a dover esplorare terreni a lui non troppo familiari.
Sin dagli esilaranti esordi con Da Ali G Show (in Italia nel 2000 eravamo in quattro gatti a guardarlo sul satellite) la sua comicità dell’assurdo, sempre sospesa tra la corrosiva critica sociale e il baratro del cinepanettone, è consistita nello spiazzare interlocutori inconsapevoli della messa in scena. Un vero e proprio ‘candid cinema’ che l’ha portato sì ai successi di Borat e Brüno, ma gli ha anche dato una celebrità che ormai rende impossibile quell’anonimato indispensabile per gli sketch-verità. Con Il Dittatore allora si è avvicinato alla storia a soggetto, e in Grimsby il passaggio alla sceneggiatura tradizionale (firmata da lui stesso) è pienamente compiuto.
Il film è a tutti gli effetti un buddy movie demenziale, con forti accenti action.
Dietro la macchina da presa un vero e proprio regista d’azione: Louis Leterrier. Già discepolo di Besson e regista di The Transporter, Danny The Dog, L’Incredibile Hulk, Scontro tra Titani e Now You See Me, è stato bersaglio di critiche al vetriolo a dir poco sproporzionate. In realtà la sua regia è sicura, con un ritmo ottimo e una buona dimestichezza nel combinare i generi (esemplare l’utilizzo della soggettiva sia al servizio delle scene adrenaliniche che di passaggi inequivocabilmente comici, con risultati molto più interessanti di Hardcore!). Grimsby infatti alterna un’innumerevole mole di gag (dagli esiti molto alterni) a una spiccata identità da frenetico spy movie e a sparuti momenti di toccante dramma familiare; eppure non è questa eterogeneità di generi a minarne la riuscita, ma l’incoerente vastità dello spettro umoristico toccata da Sacha Baron Cohen.
Che cerchiate la battuta arguta e intelligente o la volgarità più sgradevole, qui c’è tutto. Ecco il problema.
La straordinaria grandezza dell’attore inglese è nella preparazione maniacale che riserva ai propri personaggi, creando non una mera maschera ma un paradigma umano studiato minuziosamente e collocato in un microcosmo narrativo che ne rende irreprensibile ogni dettaglio. Se però nelle candid per cui è diventato famoso le pur spiazzanti provocazioni incontravano i limiti della vita reale, la traduzione del modello in un linguaggio più propriamente filmico si spinge in un abisso dozzinale senza fondo, tanto banale quanto sgradevole.
A ben vedere non è la presunta immoralità dell’umorismo a pesare, ma la grettezza di un linguaggio comico adatto alla “feccia” della società (e Cohen ne è esplicitamente consapevole, tanto da fa pronunciare a Lobby un’arringa meta-apologetica nel finale). L’insistita documentazione del contatto tra le parti intime di Strong e il viso del protagonista, le pesanti allusioni di masturbazione pedofila, la fellatio coprofila, il bukkake elefantino e le sodomizzazioni balistiche superano oltre ogni misura la soglia che renderebbe sgradevole un cinepanettone, facendo desiderare a più riprese l’abbandono della sala. Facciamo a capirci: le gag irresistibili nel film non mancano e anzi ci accompagnano per tutta la pellicola, strappandoci sincere risate anche quando ormai odiamo Cohen per averci esposto a trovate tanto patetiche. Ma come nel South Park che non a caso vediamo citato nel film, la ricerca dello shock a tutti i costi trascina verso il basso una produzione altrimenti più che pregevole.
Il film è stato un flop, e Cohen deve stare attento ai suoi prossimi passi.
Pur essendo la produzione più costosa della carriera dell’artista (basti dire che nel cast abbiamo anche Penelope Cruz), una serie di fattori hanno fortemente minato la riuscita del progetto. Innanzitutto il film è stato montato in pieno scandalo Sony, e il caso diplomatico sorto intorno a The Interview ha suggerito una censura delle scene più estreme (ad esempio la trasmissione dell’AIDS dalla Regina Elisabetta a Papa Francesco) e la scelta di un ‘tono intermedio’ in grado di scontentare un po’ tutti i pubblici. Inoltre in molte parti del mondo l’uscita in sala è stata fissata in contemporanea col debutto di Deadpool, con i risultati economici che potete immaginare; e, come abbiamo già sottolineato, Grimsby non ha potuto giovare di una campagna promozionale basata sull’effetto ‘scherzi a parte’, snaturando di fatto l’identità comica di Cohen e depotenziando il pur ottimo Lobby.
In conclusione Grimsby è un film cui hanno lavorato grandi professionalità e che è costruito con molto più amore e talento di quanto non sia lecito aspettarsene, eppure ci consegna momenti così intollerabilmente trash da mettere a dura prova anche lo spettatore meno sofisticato. Poi non dite che non vi avevamo avvisati.