Imaculat, dramma rumeno di Monica Stan e George Chiper-Lillemark, è stato presentato alle Giornate degli Autori di Venezia 78, dove è stato premiato con il GdA Director’s Award 2021 e con il Leone del Futuro – Premio Luigi De Laurentiis. Il film parte da un episodio biografico della stessa Stan: all’età di 18 anni infatti la regista viveva in un centro di riabilitazione dove imparò a coesistere con un sistema di prigionia. Mentre Monica Stan è qui al suo debutto come regista, Chiper-Lillemark è stato già direttore della fotografia per Touch Me Not di Adina Pintilie – film vincitore dell’Orso d’Oro alla Berlinale del 2018.
DI COSA PARLA IMACULAT? LA TRAMA DEL FILM
Daria (Ana Dumitrașcu) è una ragazza condotta dalla madre in un centro di riabilitazione per disintossicarsi. Fuori dai pericoli del mondo esterno e dalla tentazione, la giovane è catapultata in una situazione non meno problematica. Fra negoziazioni, compromissioni e giochi di potere, il microcosmo della clinica che dovrebbe riabilitarla non è poi così sicuro.
UNA CO-REGIA CHE SCAVA NELLE PROFONDITÁ DELL’ANIMO UMANO
Imaculat di Monica Stan e George Chiper-Lillemarkè un film difficile. È un lavoro terribilmente introspettivo, uno scavo nelle profondità di un’anima turbata. L’atmosfera depressiva che pervade il film si concretizza nella scelta di una colorazione spenta, una scenografia smorta. Quello è il mondo della protagonista e così tocca percepirlo allo spettatore. Ci sono pochi sorrisi in Imaculat, spesso deviati e devianti. Se il tema della disintossicazione è già abbastanza forte, ancora di più lo diventa quello del compromesso e della negoziazione.
IL MICROCOSMO ASSURDO E REALE DI IMACULAT
Un piccolo cosmo quello del centro di riabilitazione, nel quale la giovane Daria si trova catapultata in Imaculat. Deve affrontare se stessa, ma anche i mostri che stano fuori. Una messa alla prova dell’esistenza che rende ancora più difficile il percorso di ripresa. I registi non risparmiano nulla, non si soffermano su atmosfere leggere o sulla speranza o sulla possibilità di metabolizzare costrizione e sofferenze. Gettano in faccia allo spettatore una condizione alienante che è quasi un teatro dell’assurdo.
IMACULAT: IL FILM CHE DETURPA L’INNOCENZA E INVITA AL REALISMO
Daria è in minoranza, tenuta prigioniera in un luogo che dovrebbe proteggerla. La carica emotiva di Imaculat si presenta nella forma di un grido soffocato. Il film, tuttavia, porta un titolo che rappresenta solo una condizione iniziale. Il centro di riabilitazione è uno spazio in cui bisogna imparare a contrattare anche se stessi per vivere. Si rompe l’incanto dell’innocenza che lascia spazio a un realismo crudo, fatto di urla inesprimibili, di omertosi silenzi, di nichilismo.
I GIOCHI DI POTERE IN UNA CLINICA DI RIABILITAZIONE: IL TEMA SOCIALE DEL FILM
Un altro tema emerge in Imaculat che lo rende un trattato sociale. I registi, infatti, decidono di riportare sullo schermo un esperimento di psicologia sociale, in cui si invertono continuamente le relazioni interne ai gruppi. L’alternanza fra chi detiene il potere e chi lo subisce, l’autoproclamazione con la forza, il passaggio da una parte all’altra della bilancia sono i temi sociali del film. Questa presa di posizione che passa dalla rinuncia a se stessi per sopravvivere rappresenta la fuoriuscita dalla condizione “immacolata”.
IMACULAT: IL FILM TRA SOLIPSISMO E UNA SOCIALITÁ DEGENERATA
Imaculat diventa così un dramma individuale e collettivo. Se il film riesce a scavare in profondità è perché assume il principio di realtà come una condizione necessaria. La brutalità che questo tipo di maturazione impone, viene qui estremizzato e riportato come una critica sociale. La coppia di registi – seppure lavori su un tono altamente difficile da reggere tanto da sembrare un trattato esistenzialista – restituisce allo spettatore sia il senso dello spaesamento personale, sia quello della necessità di adeguamento. Questa obbligazione della realtà è un atto di rinuncia alla vita immacolata. E questo non solo Monia Stan lo sa bene, ma riesce anche a raccontarlo insieme Chiper-Lillemark.