Sono passati 45 anni esatti da quando un giovane regista rampante e uno sceneggiatore poco più che semi sconosciuto sconquassarono Hollywood prima e il mondo poi con un film di quelli capaci di segnare un’epoca: nel 1976, infatti, usciva Taxi Driver di Martin Scorsese, nato dalla macchina da scrivere di Paul Schrader. Per entrambi rappresentò il trampolino di lancio delle proprie grandi carriere: più sfavillante, più universale, più ispiratrice quella di Scorsese, più di nicchia, più incentrata, più ispirata quella di Schrader.
Il filo tra i due, tuttavia, non ha mai smesso di fortificarsi, attraverso pellicole come Toro Scatenato, L’Ultima Tentazione di Cristo e Al Di Là Della Vita – tutti sceneggiati da Schrader – fino a Il Collezionista di Carte, scritto e diretto dal cineasta di Grand Rapids con il coinvolgimento di Scorsese nel ruolo di produttore esecutivo.
IL COLLEZIONISTA DI CARTE, INCREDIBILMENTE RIFIUTATO DA NETFLIX E AMAZON
Il Collezionista di Carte ha avuto una genesi complessa, vittima inevitabilmente del Covid-19: le riprese, iniziate a febbraio 2020, sono state bruscamente interrotte a cinque giorni dal termine, scatenando la rabbia di Schrader che ha definito «conigli» («pussified») i produttori. A luglio dello stesso anno, comunque, la troupe ha potuto concludere il girato dell’opera, iniziando a trattare con i vari distributori internazionali. RedLine Entertainment, Saturn Streaming e Astrakan Film AB sono riusciti a strappare un accordo con Focus Features, dopo aver incassato i rifiuti – abbastanza inaspettati se considerati i nomi coinvolti – di Netflix e Amazon Studios (come raccontato nell‘intervista con Austin Dale a The Metrograph).
Dopo oltre un anno di ulteriore lavorazione, Il Collezionista di Carte è stato presentato alla 78. Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, segnando il ritorno al Lido di Schrader dopo First Reformed nel 2017.
LA TRAMA DE IL COLLEZIONISTA DI CARTE
Il giocatore d’azzardo William “Tell” Tillich (Oscar Isaac, recentemente visto in Dune di Denis Villeneuve) ha affinato uno straordinario talento come pokerista mentre scontava la condanna per violazione dei diritti umani, inflittagli in seguito alla sua condotta violenta quando era carceriere nella prigione di guerra di Abu Ghraib. La sua vita rigida e solitaria viene scossa dall’incontro con il giovane Cirk Beauford (Tye Sheridan), figlio infelice di un ex collega di Tell, anche lui traumatizzato dall’esperienza nella famigerata prigione irachena.
Il ragazzo brama vendetta verso l’uomo che reputa responsabile della caduta del padre: il sadico maggiore John Gordo (William Dafoe), uno dei capi del contingente americano in Iraq che, in virtù della sua alta carica, è riuscito ad evitare ogni condanna. Il nascente legame quasi familiare tra Tell e Cirk, cui si unirà anche l’agente per pokeristi professionisti La Linda (Tiffany Haddish), sembrerà portare i tre a un equilibrio capace di cancellare anche quel passato ingombrante, ma un evento inatteso metterà tutto in discussione.
IL COLLEZIONISTA DI CARTE E LA POETICA DI SCHRADER
Il nuovo film di Schrader ricalca gran parte della sua poetica, che serpeggia tra la solitudine, il rapporto incrinato tra l’io e l’ambiente esterno, la costante e vana ricerca della calma interiore. Tillich è una sorta di reietto, un uomo che vive ai margini con un passato violento come Travis Bickle ma, a differenza sua, riesce a reprimere la ferocia. Il suo desiderio, semmai, è semplicemente quello di non dare nell’occhio, di non far notare a nessuno il suo passaggio, di nascondersi.
Ne Il Collezionista di Carte Schrader dimostra per l’ennesima volta di conoscere alla perfezione il tavolo da gioco e, a 75 anni suonati, di saper ancora calare qualche asso. Prima avvolge il suo film di un’affascinante e ipnotica atmosfera retrò, colorata da una fotografia pastosa e rinchiudendo gli attori dentro un 4:3 che ricalca le sue opere precedenti. Poi pesca dal mazzo dei cliché cinematografici con una scaltrezza da giocatore consumato: a scandire lo scorrere del film, ad esempio, c’è il voice over freddo e distaccato di Tillich, che trascina lo spettatore nei pensieri del protagonista mentre è alle prese con la compilazione del suo diario (come lo era John LeTour ne Lo Spacciatore).
IL POKER DI PAUL SCHRADER, LONTANISSIMO DA LAS VEGAS
Il mondo del poker, abusato oltre modo nel mondo del cinema, viene qui mostrato in maniera diversa: siamo lontani dalle luci sfarzose di Las Vegas, dagli eccessi sfrenati degli alberghi extra lusso, dai giocatori resi idoli intoccabili. William Tillich e i suoi compari bazzicano tra il Delaware, l’Iowa, l’Okhlaoma, nell’America grezza e polverosa. I casinò sono anonimi stanzoni in cartongesso ricoperti di moquette ammuffita, i neon sono freddi, le vincite nulla più che dignitose, i giocatori personaggi macchiettistici al limite del ridicolo.
La regia è minimale, lenta, statica, perfettamente in linea con l’evolversi pachidermico della vicenda e l’immobilismo del protagonista. Schrader sa che la sua storia non ha appigli per movimenti di macchina estrosi, se non uno, e lo sfrutta alla perfezione: come rappresentare gli orribili ricordi di Abu Ghraib che violentano il sonno di Tillich? Il regista sfodera un fish eye distorto, come se stesse osservando da uno spioncino, che corre tra le celle sporche e gli abusi dei militari, accompagnato da un sound metal asfissiante. La stessa colonna sonora è una tocco di raffinatezza non banale, in bilico tra l’elettronica e un rock mesto, sommesso, interamente curata dal californiano Robert Levon Been, figlio di quel Michael che musicò Lo Spacciatore.
IL COLLEZIONISTA DI CARTE E LE SCELTE CHE NE PENALIZZANO IL RISULTATO FINALE
Il Collezionista di Carte, in definitiva, è un insieme di espedienti geniali, ma purtroppo non basta. Dal primo all’ultimo minuto si ha una sensazione d’incompletezza, come se tutto fosse etereo, distante. Schrader firma un’opera molto adulta, forse troppo: entrare in empatia con i protagonisti ed interiorizzarne i moventi è lavoro estremamente complesso, perché essi sotterrano qualsiasi emozioni sotto cumuli e cumuli di facce impassibili e toni pacati. Tutto ciò fa perdere molto della potenza della storia, che rischia di risultare un bel racconto fine a sé stesso.
E dire che le possibilità di andare più a fondo e alzare la posta emotiva c’erano eccome, grazie al cast scarno ma brillante, capitanato da Oscar Isaac, attore troppo versatile per essere ridotto a una mimica così povera di guizzi. Accanto a lui, vale lo stesso discorso per Tye Sheridan, per Tiffany Haddish e soprattuto per Willem Dafoe, che per l’esuberanza del suo personaggio avrebbe meritato più dei 5 minuti scarsi che gli vengono donati sullo schermo.
Nonostante non raggiunga i picchi celestiali di alcune sue opere precedenti, cercare di addentrarsi ne Il Collezionista di Carte, così come in tutti i film di Schrader, è sempre un’esperienza da non perdere, densa di maestria cinematografica.