Don’t Look Up, grottesca disaster comedy che si muove nel solco di titoli come Downsizing di Alexander Payne o del ben più blasonato Il Dottor Stranamore – Ovvero: Come Ho Imparato a Non Preoccuparmi e ad Amare la Bomba di Stanley Kubrick, segna il ritorno del regista e sceneggiatore Adam McKay, premio Oscar nel 2015 per la miglior sceneggiatura non originale con La Grande Scommessa (The Big Shot).
Approdato in streaming su Netflix il 24 dicembre 2021 dopo una distribuzione limitata al cinema, il film si contraddistingue innanzitutto per un impressionante cast all-star. A dividersi lo schermo troviamo infatti Leonardo DiCaprio (C’Era una Volta a… Hollywood), Jennifer Lawrence (Madre!), Jonah Hill (Don’t Worry), Mark Rylance (Waiting for the Barbarians), Timothée Chamalet (Dune), Ron Perlman (The Bleeder), Cate Blanchett (Che fine ha fatto Bernadette?), Meryl Streep (Il Ladro di Orchidee) e Ariana Grande.
LA TRAMA DI DON’T LOOK UP, UN DISASTER MOVIE SUI GENERIS
Il dott. Randall Mindy (Leonardo DiCaprio) e la dottoranda Kate (Jennifer Lawrence) scoprono una “cometa killer” diretta contro la Terra e che nell’arco di sei mesi metterà la razza umana a rischio estinzione. Nonostante i solleciti e le prove, lo scetticismo generale e gli interessi economico-politici del presidente degli Stati Uniti (Meryl Streep) porranno quella drammatica realtà al centro di una lotta mediatica in cui la negazione della verità scientifica, l’infodemia e falsificazioni di ogni sorta trascineranno il pianeta in un dibattito tanto grottesco quanto inconcludente.
ADAM MCKAY: DA ANCHORMAN A DON’T LOOK UP PASSANDO PER VICE
Per capire Don’t Look Up è necessario considerare i lavori precedenti di McKay, in particolare tornando alla pluriennale collaborazione con Will Ferrell, quando nelle prime fasi della carriera McKay puntava più marcatamente alla commedia demenziale senza ancora avere velleità autoriali. Nella sceneggiatura del cult Anchorman – La Leggenda di Ron Burgundy e del relativo sequel, il tema dell’informazione entrava infatti già in gioco con una satira estrema che nascondeva però il tragico sapore del reale.
Un elemento caricaturale legato alla gestione dell’informazione, con una formula cinematografica più ambiziosa che ricorre però a un tono spigliato e un po’ ruffiano per dare freschezza al genere del biopic, torna anche nel suo Vice – L’Uomo nell’Ombra (premio Oscar per il miglior trucco nel 2019).
DON’T LOOK UP, QUANDO L’ESTINZIONE È UNA COMMEDIA BRILLANTE
Don’t Look Up è dunque un lavoro che combina temi differenti, flettendo oltre ogni possibile limite i generi cinematografici cui ricorre. Ibrido tra disaster movie, dramma e commedia brillante, il lungometraggio di McKay risulta un lavoro originale nonché una sintesi dello stile del regista. Pur toccando in modo indiretto tematiche importanti, propone infatti un’ironia che non è più solo un pretesto per strizzare furbescamente l’occhio all’Academy e al pubblico – come accadeva nelle due pellicole precedenti – ma un elemento essenziale nel DNA dell’insieme. A sorreggere la suddetta impalcatura tragicomica, interpunta di dialoghi brillanti e trovate taglienti, vi sono la cesellatura di personaggi molto ben definiti e le ottime interpretazioni del superlativo cast.
IL SIGNIFICATO DELLA VERA COLLISIONE DI CUI PARLA IL FILM NON HA NIENTE A CHE FARE CON UNA COMETA
Nel superare i polverosi canoni delle americanate apocalittiche che furono i principali tentpole per tutti gli anni ’90, Adam McKay si concentra non sulla tensione e la spettacolarità legate all’impatto di un gigantesco asteroide col nostro pianeta, ma sulla collisione tra la realtà fattuale e la confusa percezione delle masse manipolate, emotive e disinformate.
È questo il vero cuore del film: un vortice di ignoranza, fake news, miopia politica, interessi economici e tracotanza. Un tornado che non risparmia nessuno, e tocca tanto la classe dirigente quanto il mondo dei media e i comuni cittadini. Un fallimento epocale dell’umanità.
LA SPIEGAZIONE DEL RUOLO DI MONTAGGIO E FOTOGRAFIA IN DON’T LOOK UP
A rendere con efficacia il crescente caos che si sviluppa attorno a decisioni che dovrebbero essere semplicissime, è anche il montaggio di Hank Corwin (Natural Born Killers). L’editor due volte candidato agli Oscar si era dimostrato un virtuoso della decostruzione già in The Tree of Life di Malick, ma è stato in La Grande Scommessa e Vice che ha mutuato le invenzioni della Thelma Schoonmaker di The Wolf of Wall Street, contribuendo in modo significativo a definire il nuovo corso della carriera di McKay. Quella costruzione tambureggiante e rapsodica è la stessa che ritroviamo ovviamente anche in Don’t Look Up.
Alla direzione della fotografia dal canto suo Linus Sandgren – premiato dall’Academy per La La Land – opta per primi e primissimi piani, aggravando il senso di assurdità e ‘claustrofobia intellettuale’. L’obiettivo si stringe sempre di più sul volto di un DiCaprio collerico, infelice, insicuro e incredulo. È la voce della scienza, della verità oggettiva soffocata e che non riesce più a farsi comprendere, vittima di un negazionismo dilagante che invita a “non guardare in alto” (qui il riferimento è a una cometa ormai visibile a occhio nudo) .
MCKAY E UN MESSAGGIO FINALE CHE FA PENSARE ALLA PANDEMIA
Don’t Look Up nasce da uno script ben precedente alla pandemia di Covid-19, eppure sembra voler raccontare, attraverso il filtro del genere, proprio le contraddizioni del mondo in cui ci troviamo. Nel film la strutturale messa in crisi del metodo scientifico da parte di masse ignoranti sedotte dalla (pseudo) contro-informazione e dal complottismo risuona con l’attualità del mondo post-Coronavirus. McKay, pur partendo da un intento differente, sembra inquadrare perfettamente i pifferai di Hamelin che per tornaconto personale accompagnano spregiudicatamente l’opinione pubblica verso posizioni negazioniste e antiscientifiche.
Il messaggio è forse fin troppo esplicitato, ma quel continuo rintuzzare amaro e divertito sortisce l’effetto di rigirare il dito nella ferita di un sistema mediatico e politico malato, esponendo e sbeffeggiando la pericolosissima assurdità del reale. Volenti o nolenti siamo calati in un contesto in cui la verità e il suo esatto opposto diventano armi affilate che si confondono nella foga della battaglia. Il verosimile fa da cerniera fra la vita e la fiction, fra noi e lo schermo. Non a caso – e senza disturbarsi nel nascondere il sarcasmo – la tag-line del film si riferisce a “fatti realmente possibili”.