As Far as I Can Walk (Strahinja Banović), diretto dal regista serbo Stefan Arsenijevič e premiato come miglior film nel 2021 al Karlovy Vary, è stato presentato in anteprima italiana al Trieste Film Festival 2022, dove si è aggiudicato una menzione speciale.
Arsenijevič, classe ’77, continua quindi ad aggiungere riconoscimenti al suo già prestigioso palmarès. Nel 2003 aveva infatti portato a casa l’Orso d’Oro per il miglior cortometraggio con (A)Torsion (poi candidato agli Oscar) e nel 2008 era stato premiato per la miglior regia al Sofia International Film Festival col lungometraggio Amore e Altri Crimini (Ljubav i drugi zločini).
DI COSA PARLA AS FAR AS I CAN WALK? LA TRAMA DEL FILM
Samita (Ibrahim Koma) e sua moglie sono due immigrati ghanesi in Serbia. Mentre il protagonista inizia a inserirsi nel nuovo contesto sociale, viene a conoscenza della partenza della moglie per l’Ungheria, in compagnia di due siriani. Samita metterà a rischio il proprio diritto di asilo pur di ritrovarla.
UN POEMA EPICO SERBO FA DA SFONDO ALLA STORIA
Strahinja Banović è l’adattamento dell’omonimo poema epico in decasillabo, un classico della letteratura serba del XIV secolo che è incentrato proprio su Strahinja Banović, nobiluomo le cui tracce si perdono fra storia e leggenda. L’assenza di un’attestazione storica certa del personaggio principale non rappresenta però un vincolo in As Far as I Can Walk, che intreccia storia e tradizione, medioevo e modernità, servendosi dei temi originali per raccontare il contemporaneo. La storia assume infatti come riferimento la precarietà dell’apolide e la questione del riconoscimento/disconoscimento nazionale – tema peraltro caro alla tradizione dell’indipendentismo serbo.
ANTIGONE IN SERBIA: AS FAR AS I CAN WALK E IL CONFLITTO ETICO
L’opera da cui il film è tratto è una storia di feudatari e promesse spose rapite che riattualizza il conflitto dell’Antigone sofoclea fra legge del cuore e tradizione, tra moralità e legalità. Questo è il fondamento etico del poema serbo e, ovviamente, di As Far as I Can Walk, in cui lo svolgimento degli eventi è accompagnato da una voce fuori campo che legge alcuni passi dall’opera letteraria.
L’eroe del testo originario, pur non sapendo se la sua amata fosse consenziente, decideva di lottare contro l’ingiusta punizione di morte per l’adulterio, e con i dovuti distinguo tale abnegazione si riverbera anche nella rilettura di Arsenijevič. Il regista adotta però un approccio più originale rispetto al precedente adattamento cinematografico Banović Strahinjia (per noi italiani Il Falcone), che nel 1981 aveva come protagonista Franco Nero.
NAZIONALISMO SERBO E IMMIGRATI AFRICANI
Arsenijevič per il suo As Far as I Can Walk prende questo tema della tradizione e lo riporta nella contemporaneità. L’intreccio non è di certo fiabesco, nonostante il sottofondo sentimentale, ma oscilla fra paura delle conseguenze e legge dell’amore. Le norme politiche e sociali che regolamento la migrazione entrano qui in conflitto con una legge ben più alta, pronta a mettere in discussione il sistema e la tradizione.
Con una fotografia che costringe lo sguardo, mentre l’occhio di regia si sposta fra i confini dell’est Europa e il campo profughi, As Far as I Can Walk racconta una condizione, una sofferenza e anche un pesante dilemma morale.
AS FAR AS I CAN WALK E GLI ABISSI DELLA MORALE
Lo sguardo acuto del regista e la ripresa di un tema classico dell’etica riproposto nella cornice dell’immigrazione fanno di As Far as I Can Walk un’opera intensa e ricca di stratificazioni, nonché una denuncia amara delle contraddizioni fra la regolamentazione imposta dal sistema legale e il collasso etico delle istituzioni. Allo stesso tempo, però, la pellicola riesce ad essere anche un dipinto di solitudine e impotenza: Samita è un migrante che incontra abissi geografici; affronta distanze impossibili nella tragica condizione che impone ogni scelta etica, ovvero la solitudine della propria responsabilità.