Jurassic World – Il Dominio, ultimo film di un franchise iniziato quasi 30 anni prima col Jurassic Park di Steven Spielberg (Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo), porta sulle spalle tutto il peso dei suoi predecessori. L’originale del 1993, basato sull’omonimo romanzo bestseller di Michael Crichton, contribuì a lanciare un nuovo filone cinematografico, innestando passione e curiosità per le specie che dominavano il pianeta Terra oltre cento milioni di anni fa.
Quell’interesse per le creature preistoriche, dovuto anche al rivoluzionario mix di effetti speciali e VFX introdotto allora dalla Industrial Light & Magic di George Lucas, non si è esaurito nel tempo e dopo la prima trilogia, chiusa nel 2001 con il pessimo Jurassic Park III di Joe Johnston (Wolfman), nel 2015 la saga è ripresa con il soft reboot Jurassic World. Nelle mani di Colin Trevorrow (Il Libro di Henry), la serie ha preso una piega più adulta rispetto ai primi film, sfruttando l’evoluzione della CGI e una serie di storyline che hanno modernizzato la storia.
I nuovi protagonisti Chris Pratt e Bryce Dallas Howard hanno contribuito alla rinascita della proprietà intellettuale, che dopo Jurassic World – Il Regno Distrutto, diretto da Juan Antonio Bayona (A Monster Calls) nel 2018, arriva alla sua conclusione nuovamente con la guida di Trevorrow, con un Jurassic World – Il Dominio che segue le vicende di ben tre generazioni e un pianeta terra che deve fare i conti con le scelte bioetiche compiute dall’uomo.
Jurassic World – Il Dominio si estende a tutto il pianeta terra: gli scenari dopo la distruzione di Isla Nublar
Jurassic World – Il Dominio si aggancia alla linea temporale indicata dal precedente capitolo e si apre con una narrazione, in forma di documentario, delle vicende che hanno portato i dinosauri ad uscire dai loro recinti e a disperdersi nei vari angoli del globo terrestre. Sono passati circa quattro anni dalla distruzione di Isla Nublar e in un piccolo rifugio di montagna ritroviamo il domatore di velociraptor Owen Grady (Pratt) e la scienziata Claire Dearing (Howard). I due si prendono cura dell’adolescente Maisie, nipote del co-fondatore di Jurassic Park Benjamin Lockwood.
Le specie estinte sono a rischio bracconaggio e l’uomo ha iniziato a lucrare sui dinosauri e sulle possibilità che le ibridazioni possano far accrescere il business di aziende specializzate nella genetica e nell’agricoltura. È in questo contesto che torneranno in scena i protagonisti della saga originale: Alan Grant (Sam Neill), Ellie Sattler (Laura Dern) e Ian Malcolm (Jeff Goldblum). Insieme dovranno lottare per portare alla luce i piani segreti di una multinazionale e realizzare il sogno della convivenza tra specie.
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Jurassic World – Il Dominio, un finale che chiude la saga con dignità ma senza entusiasmo
Colin Trevorrow per Jurassic World – Il Dominio adotta uno stile registico che soddisfa lo spettatore medio, ma senza picchi particolarmente entusiasmanti. La sceneggiatura, scritta insieme ad Emily Carmichael, insiste sulla convergenza tra numerosi generi e argomenti. Il dubbio, quando si assiste a una tale ibridazione tra linguaggi cinematografici, è comprendere se effettivamente da tale mescola si sviluppi una sinergia utile alla buona riuscita del film. Ma mentre una moltitudine di stili, scenografie e ambientazioni eterogenei concorrono con le varie storyline a definire il mosaico finale, l’impressione è sempre più che l’autore non abbia dato una vera e propria impronta al suo prodotto, che nonostante l’ambizione rimane un film d’azione con i dinosauri (forse nemmeno abbastanza presenti) e non molto altro.
Interessante potrebbe essere stata la scelta dei co-sceneggiatori Trevorrow ed Emily Carmichael (Pacific Rim: La Rivolta) di introdurre il personaggio dell’ imprenditore “visionario” Lewis Dodgson (Campbell Scott), animato da profonde contraddizioni e completamente privo di qualsivoglia tipo di etica. Uno spunto che suggerisce come il vero “dominio” di Jurassic World – Il Dominio non sia quello dei dinosauri quanto quello delle multinazionali. Tale idea però appare in controluce solo agli spettatori più attenti ed è ben lontana dall’essere sfruttata a dovere.
Generazioni a confronto sullo sfondo di un mondo in continuo cambiamento: la spiegazione del significato di un pastiche come Jurassic World – Il Dominio
In Jurassic World – Il Dominio si confrontano le generazioni che rappresentano il passato, il presente e il futuro di un pianeta Terra in cui sono effettivamente ritornati i dinosauri. Il trio Neill, Goldblum e Dern, che insieme alla regia di Spielberg e agli effetti della ILM ha contribuito a fare del primo Jurassic Park un vero e proprio cult generazionale, ritorna e non per mero fan service.
La rimpatriata dei tre vecchi personaggi è infatti forse l’aspetto più riuscito del film di Trevorrow, il quale lascia liberi gli interpreti di ritornare nei vecchi ruoli senza forzature. Ritroviamo così la dottoressa Sattler, le cui battaglie ambientaliste sono più che mai attuali, il professor Grant, appassionato paleontologo ispirato a Jack Horner, e il matematico e teorico del caos Ian Malcom, col suo sarcastico pessimismo. Owen e Claire continuano il loro percorso sentimentale e familiare, con l’adozione di Maisie, che potrebbe fungere da collegamento per un’eventuale prosecuzione futura del franchise, mentre un altro omaggio al cinema spielberghiano viene dal personaggio della pilota Kayla Watts (DeWanda Wise), una donna forte e coraggiosa.
In conclusione Jurassic World – Il Dominio è un film d’azione semplicemente buono, che però non soddisfa le grandi aspettative sulla conclusione di una saga che ha conosciuto momenti ben più alti. Parliamo di un franchise che al botteghino, tranne qualche défaillance, è sempre andato molto bene; ma che soprattutto tiene legati allo schermo da decenni ragazzi di allora e di oggi. È però solo ai secondi che sembra diretto il film, che nonostante le tante citazioni passate rimane un prodotto poco adulto e approfondito. A depotenziare considerevolmente ciò che il film avrebbe potuto essere ci sono infatti la mancanza di scene vagamente cruente, la trattazione superficiale della questione bioetica, lo scialbo accenno di spy story e la frenesia di una regia che alle atmosfere avventurose tipiche di Spielberg preferisce un gusto per gli inseguimenti iperbolici che sa vagamente di Fast and Furious.