A cosa pensiamo quando pensiamo a Robert De Niro?
Io vedo un ex-pugile sciagurato e riccio, con un sigaro sempre acceso in bocca e dei pantaloni extralarge, mentre tenta pietosamente di intrattenere il pubblico del suo locale. In fondo per Rupert Pupkin (Re per una notte, 1983) intrattenere era l’unico scopo della vita, niente valeva come l’applauso del pubblico. Poi ci sono Travis e la sua morbosa fame di violenza, “Ace” che insegue Ginger, “Noodles” che torna a New York e affronta il suo passato e tante altre maschere indimenticabili.
Per il Robert De Niro che tutti amiamo il lavoro non finiva mai; i personaggi che interpretava lo assorbivano completamente, sia a livello fisico – la pancia di Jake LaMotta – che a livello mentale e personale, facendone uno dei più appassionati e proficui attori della storia del cinema e scolpendo il suo viso nell’immaginario cinematografico mondiale.
Nel 1980 De Niro ha inoltre dimostrato per la prima volta di saper essere più di un ‘semplice’ attore e ha prodotto e diretto (oltre ad interpretarlo) Bronx, un piccolo film su un giovane bambino italo-americano che diventa amico di un malavitoso Newyorkese che possiede il locale vicino alla sua abitazione. “Bob” dimostra una buona propensione alla regia e la pellicola si rivela un buonissimo lavoro, tanto da ottenere una candidatura come miglior film alla mostra del cinema di Venezia. Però è solo nel 2006 che De Niro torna dietro la macchina da presa, dopo ben ventisei anni di silenzio, con The Good Shepard, film che si guadagna, oltre ad una nomination per la miglior scenografia agli oscar, un posto alla corsa per l’orso d’oro di Berlino.
Due pellicole di successo alle spalle, un nome da walk of fame, infinite conoscenze nell’ambiente di Hollywood, e cionnonostante il suo lavoro da regista è fermo, come una lancetta rotta, al 2006 e nel frattempo la star colleziona una lista biblica di pellicole mediocri, se non indegne, all’interno delle quali il fattore De Niro è nullo o addirittura deleterio.
E così arriviamo al punto in cui, se De Niro oggi ancora seguisse il ‘metodo’, ogni sera, a tavola con sua moglie e i suoi figli, magari davanti a un buon piatto di spaghetti al pomodoro e un bicchiere di vino, si dovrebbe alzare all’improvviso e urlare “Io voglio fottere, fottere, fottere, fottere!” in perfetto stile cinepanettone, come fa nel suo ultimo imbarazzante film, Nonno Scatenato. Ve lo immaginate?
L’impressione è che dai tempi del miglior De Niro di acqua sotto i ponti ne sia passata tanta, troppa, e che ormai non ci resti che cantare il de profundis per la sua carriera artistica, che sta cercando di auto-boicottare in tutti i modi.
Difficile indicare con precisione quale sia lo spartiacque fra il Robert De Niro ‘eroe cinefilo’ e il Robert De Niro deludente, quale sia il momento in cui ha avuto inizio la trasformazione da Toro Scatenato a Nonno Scatenato.
Personalmente credo che il momento più basso della carriera attoriale di De Niro coincida con l’inizio del suo tracollo, ovvero con Showtime, un buddy movie terribile nel quale interpreta un detective che partecipa ad un reality show sul mondo della polizia e delle autorità americane. Nel film c’è anche Eddie Murphy, che, come De Niro, tocca probabilmente il punto più basso o uno dei più bassi della propria carriera da comico.
Da Showtime in poi la carriera di De Niro è un continuo sprofondare negli inferi della ‘bassa manovalanza’ americana – quel settore che produce pellicole con lo stampino fatte di idee consumate e spolpate – e inizia quindi a misurarsi con generi che gli sono nuovi e oscuri. Nella commedia dà sicuramente il suo peggio: oltre che nel già citato Showtime, appare (citiamo in ordine sparso) anche in Big Wedding, Lo Stagista Inaspettato, Capodanno a New York, Vi Presento i Nostri e nel terribile Manuale d’Amore 3, su cui ricordo ancora un’intervista da brivido che Fazio fece a lui e alla Bellucci. Si concede addirittura qualche esperimento horror come Nascosto nel Buio e Il Male è Rinato, ma non si nega alcuni dei peggiori thriller del decennio, su tutti Red Lights. Infine si prende anche le libertà di un ritorno sporadico al genere che gli aveva dato più fortuna, il gangster movie (in questo caso sporcato di commedia), con Cose Nostre, un prodotto incerto e mal assemblato di un altro grande ‘titano’ del cinema come Luc Besson.
Riflettendo in chiave ottimista si può azzardare l’ipotesi di una sfida contro se stesso e si possono interpretare certe scelte come la mossa di un attore annoiato che decide di sperimentare una strada comica e più leggera ma inizia a sbagliare un po’ troppe pellicole. D’altronde, in un’epoca in cui l’industria cinematografica non brilla per originalità, generi come la commedia e il thriller sono vere ancore di salvezza al box office e ottime opportunità di raggiungere un vasto pubblico. In un certo senso, quindi, la crisi di De Niro si rifà anche alla crisi creativa della “Città degli Angeli”.
La ‘morte’ artistica di De Niro però è anche una cartina tornasole di una generazione di registi che va scomparendo o che è già scomparsa, da Cimino a Sergio Leone, dal Francis Ford Coppola – fuori dai radar da diversi anni – che lo aveva lanciato nella saga del Padrino al suo fedele amico Scorsese, regista con cui Robert ha collaborato ben otto volte, ma che sembra aver trovato in Di Caprio un nuovo attore feticcio.
Gli ultimi “sparuti incostanti sprazzi di bellezza” li ha avuti insieme al talentuoso David O. Russell, insieme al quale ha girato tre film in tre anni: Il lato positivo, col quale addirittura era stato nominato agli oscar 2013, American Hustle e Joy; tre pellicole in cui ha condiviso il suo talento con Bradley Cooper e Jennifer Lawrence. Squadra che vince non si cambia.
Eppure ora lo troviamo in sala con l’ennesimo film-spazzatura. De Niro è impazzito? È artisticamente spacciato?Spiace dover fare i conti con certi quesiti, anche perché, se mai ci fosse bisogno di precisarlo, la grandezza di De Niro va ben oltre Nonno Scatenato. “Bob” non solo ha segnato la storia del cinema, ma si è anche guadagnato il rispetto fuori dal set come uomo mite e schivo, timidissimo alle interviste e alle conferenze stampa, a suo agio solo sui set, quelli calcati insieme agli amici di sempre: Scorsese, Joe Pesci, Al Pacino e tanti altri. Una vita amorosa turbolenta e agitata, sei figli con tre donne diverse, uno dei quali affetto da un disturbo grave di autismo con i quali deve fare i conti. Tanto impegno umanitario e cinematografico al TriBeCa film festival, co-fondato con Jane Rosenthal e Craig Hatkoff, ai fini di resuscitare Lower Manhattan, il quartiere messo in ginocchio dall’attento dell’11 Settembre.
Eppure sta facendo scempio della sua reputazione. Per il momento non possiamo che consigliarvi di tenervi lontani dalla pietosa commedia in cui affianca Zac Efron, ma ci riserviamo una nota di speranza ricordandoci che, a quanto pare, sta partendo la produzione di The Irishman, crime movie scritto da Steven Zaillian nel quale dopo 21 anni tornerà a collaborare la leggendaria coppia Robert De Niro-Martin Scorsese.
Non deluderci, Bob, ci aspettiamo grandi cose. Per noi puoi essere ancora il numero 1.