Hatching: La Forma del Male ci porta nel ‘nido’ di una famiglia medio-borghese come tante: due figli, un padre, una madre e l’amante – di lei, in questo caso. La storia ne dilata spesso con la lente d’ingrandimento problemi e contraddizioni, ma restringe anche la possibilità di un’esplorazione più approfondita sui personaggi che da questo punto di vista avrebbero aperto intere praterie di indagine.
La trama di Hatching: La Forma del Male
Al centro della storia la figlia Tinja (Siiri Solaninna), una dodicenne che pratica ginnastica artistica a livello agonistico pur senza risultati soddisfacenti. Alle difficoltà tipiche della sua età si somma la presenza ingombrante della madre, che compensa le delusioni di una carriera mai decollata da pattinatrice con un’ossessione per la carriera sportiva della figlia.
A scuotere la pesante routine familiare, raccontata nel blog della madre, un evento apparentemente insignificante: un uovo di corvo che la ragazzina si ritrova a portare in casa dopo un inquietante presagio. Quando dall’uovo, cresciuto a dismisura, nascerà un’innaturale creatura simile a un grandissimo uccello, sarà chiaro che i precari equilibri del nucleo familiare saranno destinati a esser stravolti. Il rapporto sempre più simbiotico tra Tinja e Alli (questo il nome che darà all’essere) preluderà a una resa dei conti di tutte le tensioni latenti.
Hatching: La Forma del Male, quando il cambiamento fa paura
Presentato al Sudance Film Festival del 2022, Hatching: La Forma del Male segna l’esordio al lungometraggio della finlandese Hanna Bergholm, che firma anche la sceneggiatura a quattro mani con Llia Tautsi. La regista dimostra grande padronanza, asservita a uno script solido ma non eccellente. Pur non esprimendo quasi mai picchi di originalità in un genere – quello horror – spesso prigioniero dei cliché, porta il film a livelli piacevoli per scorrevolezza, pulizia dell’inquadratura e della messa in scena in generale. Il mix ben dosato di SFX e VFX, seppur tutt’altro che perfetti, aiuta a rendere perturbante l’insieme.
Il copione di Hatching: La Forma del Male si muove lungo binari più che intuibili e probabilmente è solo grazie alla mano registica se lo spettatore può apprezzare qua e là lampi d’imprevedibilità; compreso il finale. I limiti della Bergholm sono comunque ancora evidenti e, complici le interpretazioni non superlative, l’empatia con la storia rimane sempre piuttosto contenuta. Il punto focale è ovviamente l’allegoria tra uovo e nucleo familiare, body horror e adolescenza: soluzione lapalissiana ma d’impatto. La sottotrama legata al mondo dello sport aiuta comunque a dare ulteriore tridimensionalità; allo spettatore l’interpretazione del ‘mostro’ come figlio della ricerca ossessiva della perfezione o manifestazione di un passato irrisolto. Anche questo è il bello del cinema, e del cinema horror in particolare.