Pinocchio di Guillermo del Toro, film Netflix in streaming dal 9 dicembre dopo un breve passaggio al cinema, è una rilettura decisamente originale della storia del burattino di Collodi, che trova la sua forza nell’approccio libero all’adattamento di un classico. Lungometraggio d’animazione con la tecnica del passo uno (potenziato dalla CGI), nella versione in italiano ha le voci dei doppiatori diretti da Massimiliano Alto, mentre nell’originale vanta un cast di talent di primo livello e di volti noti agli amanti del cinema di del Toro.
A fianco del giovanissimo Gregory Mann, che interpreta il title character, troviamo infatti alcune vecchie e meno vecchie conoscenze del regista: David Bradley (The Strain, la saga di Harry Potter, After Life) nel ruolo di Geppetto, Rob Perlman (Hellboy, La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, Don’t Look Up) nei panni del podestà, Cate Blanchett (La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, Che fine ha fatto Bernadette?) in quelli della scimmietta Spazzatura e Tim Blake Nelson (La Fiera delle Illusioni – Nightmare Alley, La Stanza delle Meraviglie di Guillermo del Toro, La Ballata di Buster Scruggs) nel fugace doppiaggio dei conigli neri. Con loro Ewan McGregor (Ritorno al Bosco dei 100 Acri, Obi Wan Kenobi) come Sebastian il grillo, Christoph Waltz (The French Dispatch) per il conte Volpe e Tilda Swinton (Okja, Suspiria) per la figura mitologica della sfinge. Completano inoltre il cast Finn Wolfhard (Stranger Things) e John Turturro (Scissione).
LA TRAMA DI PINOCCHIO, IL FILM DI GUILLERMO DEL TORO IN STREAMING SU NETFLIX
Siamo nell’Italia a cavallo tra la Grande Guerra e l’ascesa del Fascismo. L’umile falegname toscano Geppetto perde il figlio Carlo a causa di un bombardamento e, in preda al lutto e al delirio, decide di ricordarlo intagliando un burattino di legno. Portato in vita da un’entità soprannaturale, Pinocchio vivrà burrascose avventure, diviso tra la spettacolarizzazione del suo talento di intrattenitore e la spinta al suo reclutamento da parte del nascente regime di Mussolini.
PERCHÉ HA SENSO CHE DEL TORO ABBIA ‘SNATURATO’ PINOCCHIO
Pinocchio di del Toro arriva tre anni dopo il Pinocchio live action di Matteo Garrone e a qualche mese di distanza dal lancio su Disney+ del Pinocchio in tecnica mista di Robert Zemeckis con Tom Hanks. Due predecessori che dimostrano quanto sia difficile attualizzare la fiaba ottocentesca Le Avventure di Pinocchio – Storia di un Burattino. Il primo film infatti, nella sua smania filologica, risultava incapace di dare la benché minima coesione agli episodi narrativi, mentre il secondo era totalmente superfluo e posticcio nel riproporre pedissequamente la storia del cartoon del 1940. Col suo film Netflix Guillermo del Toro, però, riesce a trovare il modo di rendere nuovamente rilevante il personaggio di Collodi, a patto di snaturarne la storia e il contesto per asservirli al suo caratteristico immaginario.
IL PINOCCHIO DI DEL TORO È UN MIRACOLO INTAGLIATO NEL LEGNO
Prima ancora di colpire per una trama inaspettatamente diversa dall’originale, il Pinocchio Netflix di del Toro è infatti soprattutto un trionfo dell’immaginario del regista messicano, che riporterà i suoi estimatori a creature che sembrano uscite da Il Labirinto del Fauno, La Forma dell’Acqua o dal recente Cabinet of Curiosities.
Caratterizzante la scelta di affidare il racconto all’animazione in stop motion mista a ritocchi in CGI, con miniature che coerentemente con la storia sembrano intagliate nel legno. A sottolineare la magia artigianale dietro il lungometraggio, una calda prevalenza dei toni ambrati e lame di luce che tagliano l’ombra, come nello stile del regista. Un valore produttivo che salta all’occhio e da subito chiarisce come a tutti gli effetti Pinocchio sia un film d’autore – nella misura in cui rende chiara in ogni inquadratura l’impronta del cineasta.
Wes Anderson, BoJack Horseman e l’inferno produttivo di Pinocchio (prima di Netflix)
Per Pinocchio del Toro infatti ha seguito la produzione nei minimi dettagli, operando una meticolosa scelta del team creativo. Per portare in vita la sua rilettura di Collodi ha infatti messo in squadra Mark Gustafson (direttore dell’animazione per Fantastic Mr. Fox di Wes Anderson), lo studio californiano ShadowMachine (BoJack Horseman) e quello messicano El Taller de Chucho.
Un vero miracolo che alla fine, grazie a Netflix, il film sia stato realizzato. Dopo l’annuncio del 2008 e un inferno produttivo decennale fatto di annullamenti e passi falsi, il Pinocchio di Del Toro sembrava destinato ad avere la stessa sorte di un altro suo film ‘maledetto’, l’adattamento di Alle Montagne della Follia di Lovecraft
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO DEL PINOCCHIO DI GUILLERMO DEL TORO
Il Pinocchio che del Toro scrive insieme a Patrick McHale (direttore creativo delle prime due stagioni di Adventure Time) si contraddistingue rispetto alle versioni precedenti per il notevole scostamento dalla storia originale di Collodi. Rimangono l’essenza e la struttura: anche qui abbiamo il racconto delle vicissitudini di un burattino di legno che aspira a diventare un bambino vero, nella forma di un susseguirsi quasi antologico di episodi e dalla presenza di una morale. Tutto il contorno concepito nell’800 dallo scrittore fiorentino viene però relegato a semplice punto di partenza; fonte di ispirazione. Un scelta oculata, che individua nel celebre personaggio letterario quasi un ‘Frankenstein gentile’ in balia del nascente Fascismo.
Questa libera interpretazione del burattino di legno è infatti decisamente più è cruda, dura, orrida e difficile di quelle cui siamo abituati, e per questo non adatta al piccolo pubblico. Ancora una volta, come già ne La Spina del Diavolo (2001) e Il Labirinto del Fauno (2006), il cineasta messicano cala il soprannaturale in una cornice storica di guerra e totalitarismo: una scelta che sottolinea come nella sua poetica i mostri e i freak siano solo un allegoria per le deformità dell’animo umano.
LA STRUTTURA DI PINOCCHIO: UN TRATTATO SUL LUTTO CHE RACCHIUDE UN CAUTIONARY TALE
Pinocchio, dunque, condensa stile e temi di del Toro, immergendosi nel lato oscuro della fiaba, già presente nell’originale di Collodi (che proponeva anche episodi decisamente macabri). Siamo ben lontani dall’idillico personaggio disneyano e più vicini a un’antropologia del fiabesco che riabilita la componente orrofica e oscura, seppure addolcita da una relazione parentale commovente e drammatica.
Il film Netflix prende infatti le mosse dal rapporto padre-figlio, trasformandosi in un trattato psicologico sul dolore e l’elaborazione del lutto. Una cornice che come una parentesi apre e chiude il film, includendo però al suo interno il filone tematico distinto delle avventure di Pinocchio; una critica storico-sociale che viene a comporsi nelle vicissitudini variamente rimodellate da del Toro. Un nucleo solo apparentemente separato: d’altronde senza il pervertimento del potere narrato nel corpo del lungometraggio non vi sarebbero le premesse per giustificarne il punto di partenza.
Stravolgere Pinocchio: cosa funziona e cosa no
Nel congegnare gli ingranaggi di questo crescendo drammaturgico, gli sceneggiatori non hanno paura di rischiare l’eresia filologica: Mangiafuoco, il gatto e la volpe vengono condensati in un’unica figura; Lucignolo è una vittima; Geppetto è palesemente folle; il grillo è un sapiente narratore che letteralmente vive nel cuore di Pinocchio. Tutto, della storia originale, si trova a essere ricollocato in un rekombinant ambiguo, stilisticamente d’effetto e stupefacente nella sua peculiarità. Deragliamenti felicissimi, ad eccezione delle incursioni nel musical, che appaiono forzate e incoerenti con il tono d’insieme.
IL GIUDIZIO FINALE: PINOCCHIO CON DEL TORO RITROVA UN’ANIMA
Pinocchio rimane un lavoro faticoso, enigmatico e stratificato. Caratteristiche che, per atmosfera e temi, lo avvicinano al classico di Collodi più di quanto non sia accaduto con molti altri adattamenti edulcorati. Esplicite sono le immagini sulla morte e la rinascita. Esplicite le forme di violenza. Intenso il Geppetto non docile ma infuriato per il lutto del figlioletto, che delirante canalizza la propria disperazione e pulsione di morte nella creazione di un golem di legno.
Del Toro fa del Pinocchio di Collodi una fiaba ancora più oscura, in cui si avverte l’eco della mitologia classica, dei grandi temi della vita, della morte e della reincarnazione. Ma è anche un’aperta critica ai totalitarismi e alla degenerazione civile. Nel nuovo Pinocchio assistiamo a un rinnovamento stilistico, una scelta autoriale precisa e senza fronzoli che si fa carico della pesante responsabilità di rilettura integrale, e storicizzata, di un classico senza tempo. Un’opera assolutamente da non perdere.