Rumore bianco (White Noise), film Netflix con Adam Driver e tratto dall’omonimo romanzo di Don DeLillo, ha debuttato nel concorso principale del Festival di Venezia 2022, prima di essere rilasciato in streaming nel dicembre 2022. Il regista Noah Baumbach, alla sua terza collaborazione con la piattaforma di Hastings, torna a dirigere l’attore nei panni di un padre di famiglia dopo il celebrato Storia di Un Matrimonio, ma stavolta il contesto è quello di una dramedy surreale. Al fianco dell’interprete troviamo la sempre ottima Greta Gerwig, collaboratrice e compagna di lunga data del regista.
DI COSA PARLA WHITE NOISE? NAZISMO, NUBI TOSSICHE E PROBLEMI FAMILIARI
Jack Gladney (Adam Driver) è un esperto di “hitlerologia” per un prestigioso college statunitense, ma anche padre di famiglia al suo quarto matrimonio con Babette (Greta Gerwig). Quando una nube tossica si abbatte sulla città, la paura della morte mette in crisi gli equilibri familiari.
CON RUMORE BIANCO BAUMBACH RIMANE SUL TEMA DELLA FAMIGLIA
Rumore bianco (White Noise) è un film sulle nevrosi della modernità, una presa in giro della comunità accademica e, principalmente, un dramma familiare. Un tema ricorrente nella filmografia di Baumbach, che anche stavolta affronta le relazioni tra i personaggi con ironia, profondità e la giusta dose di irriverenza – come già nei suoi precedenti lavori più propriamente mumblecore.
La storia dei Gladney è altrettanto complicata. Se da una parte Rumore bianco (White Noise) vuole essere un modo per entrare nelle dinamiche complesse di famiglie ibride, dall’altra si propone come modello della precarietà della relazione. Non solo in riferimento (ironico) ai tre matrimoni precedenti dei Gladney, ma proprio attraverso l’osservazione del lento sgretolarsi della famiglia attuale. Nonostante la solidità tematica, Rumore bianco (White Noise) non però è esente da fragilità, che lo rendono un lavoro poco fluido e dagli esiti altalenanti.
LE DISARMONIE IN RUMORE BIANCO
Il problema di Rumore bianco (White Noise) è la scelta di utilizzare tinte diverse e poco omogenee che disperdono l’attenzione dello spettatore. Dramma, thriller e venature horror riescono in qualche modo a coesistere, tuttavia quando la trama abbraccia più propriamente il disaster movie si avverte una profonda indecisione nel tono e nel focus – in modo analogo a quando accadeva in Downsizing di Payne, anche quello passato dalla Mostra del Lido.
Lo squilibrio narrativo è generato da questo disallineamento. Da una parte la storyline della nube tossica, che si risolve in breve tempo e che regala splendidi momenti agli spettatori, e dall’altra quella della crisi di coppia che non trova una connessione profonda con il disastro ambientale.
RUMORE BIANCO: STORIA DI UNA NUBE COMPLETAMENTE INUTILE
Così, Rumore bianco (White Noise) risulta letteralmente scisso nello script e l’episodio della nube rappresenta, in una simbologia stentata, la rottura degli equilibri iniziali. Equilibri che, tuttavia, non avevano bisogno di un disastro di così grandi proporzioni.
Infatti, sono alcuni sospetti che Jack (Driver) ha già ad inizio film in merito a strani farmaci assunti dalla moglie che generano la crisi di coppia. Questo motivo apre realmente il conflitto, guidando la seconda parte del film e trasformandolo in una riflessione sulla morte.
I PROBLEMI DERIVANO DAL SOGGETTO: IL POST-MODERNISMO DI DE LILLO
Rumore bianco (White Noise) presenta questi problemi in quanto molto agganciato al romanzo di De Lillo. Un romanzo stratificato con un’articolazione narrativa e tematica di certo più fruibile attraverso la lettura che mediante la rappresentazione filmica. Il libro di De Lillo è spezzato in due momenti: pre e post nube tossica. Una struttura che Baumbach segue ma senza riadattare veramente a una sceneggiatura cinematografica, e dando origine a un climax discendente.
RUMORE BIANCO: BAUMBACH SPEZZA IL RITMO DEL SUO FILM
La trama grottesca e assurda, spezzata dall’evento catastrofico e che conferisce al romanzo di De Lillo il suo spessore letterario, diventa qui un’arma a doppio taglio. Una matassa ingestibile che trasporta lo spettatore verso alti picchi emotivi di fronte al disastro ambientale, per poi trascinarlo in una vorticosa (e spesso noiosa) riflessione esistenzialista sulla morte. Un’altalenanza che, sotto l’occhio della cinepresa, perde di continuità e valore.
Con Rumore bianco (White Noise) Baumbach mette nel calderone plot e temi del romanzo che non danno tempo allo spettatore di essere digeriti. La finalità è quella di raccordare temi e storie, ma non riesce in questa operazione conclusiva – il che rende il lavoro sostanzialmente sfilacciato e poco integro.
RUMORE BIANCO: FILM PER TUTTI MA NON TROPPO
Rumore bianco (White Noise) rimane, tuttavia, un lavoro ambiguo. Se osserviamo nella prospettiva della linearità classica i problemi messi in evidenza valgono tutti. Ma siamo pur sempre di fronte a una precisa volontà di rappresentare una storia spezzettata, che recupera stili diversi in termini di genere e narrazione.
Questa struttura eterogenea diventa punto di forza per innovazione, ma punto di debolezza in termini di fruibilità. Qui sta la contraddizione: un prodotto idealmente per tutti ma con tracce di un’autorialità complessa, radicata nel post-modernismo di De Lillo. La combinazione non regge, portando così il lavoro di Baumbach al collasso.
RUMORE BIANCO SALVATO DALLE APOCALISSI
Parlando del salvabile, Rumore bianco (White Noise) difende bene la profondità e la durezza, anche perché Baumbach gioca in casa quando racconta storie sulla famiglia. I temi non facilmente digeribili (divorzio, tradimento, morte), la regia li restituisce in maniera a volte terrificante, a volte grottesca.
Baumbach sa giocare sul meccanismo di continue apocalissi, piccole e grandi, interne ed esterne. Qui intese nel senso biblico di “rivelazioni” vere e proprie che ritmano la narrazione, sconvolgendo continuamente gli equilibri. Questa simbologia ricorrente, che intercetta temi contemporanei e universali, rende Rumore bianco (White Noise) un film certamente disarticolato ma preservandone l’autenticità.