Oppenheimer, nuovo film di Christopher Nolan sull’inventore della bomba atomica, è il dodicesimo lungometraggio del cineasta londinese. Un vero trionfo agli Oscar 2024, dove ha vinto 7 premi tra cui miglior film, miglior regia, miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista, miglior fotografia e miglior montaggio. Nolan firma tanto la regia quanto la sceneggiatura, adattando la biografia American Prometheus di Kai Bird e Martin J. Sherwin in un dramma biografico dalle sfumature thriller/court drama lungo ben 3 ore. Il title character è interpretato da Cillian Murphy (Dunkirk) ma ad affiancarlo troviamo un cast corale impressionante, che annovera tra gli altri Robert Downey Jr., Emily Blunt, Florence Pugh, Matt Damon, Kenneth Branagh, Casey Affleck, Rami Malek, Josh Hartnett e Jason Clarke. Attori spesso straordinari, molti dei quali qui sono però relegati al ruolo di comparse e a dir poco sottoutilizzati.
OPPENHEIMER E IL PREGIUDIZIO POSITIVO VERSO UN ‘CAPOLAVORO ANNUNCIATO’
Oppenheimer è stato salutato dalla critica internazionale come un capolavoro assoluto, un film perfetto. Il pubblico si è inizialmente lasciato trasportare dal buzz legato ai meme virali su internet e dall’entusiasmo verso quello che – insieme a Barbie – era preannunciato come il film evento dell’estate 2023; ma presto è stato il passaparola a fare del film di Nolan l’impressionante successo al botteghino che tutti conosciamo. Il trionfo ai premi Oscar 2024 ha poi suggellato questa parabola.
Nonostante l’omogeneità di giudizi enfatici sulla pellicola, ci sentiamo però in questa sede di sottrarci al coro unanime e proporre invece degli spunti su tutti quegli elementi poco esplorati che fanno di Oppenheimer un film sì grandioso ma anche profondamente imperfetto, che a tratti manca totalmente il focus della storia e finisce per essere vuotamente verboso, lungo e addirittura noioso.
LA TRAMA DI OPPENHEIMER
Oppenheimer di Christopher Nolan racconta la storia vera di J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy), fisico di fama internazionale che viene convenzionalmente indicato come il ‘padre’ della bomba atomica. Dai suoi esordi accademici al lavoro per il governo Americano fino alle indagini sulle sue simpatie comuniste, ci muoviamo lungo un asse biografico che ha (o dovrebbe avere) come fulcro quello degli attacchi atomici compiuti dagli Stati Uniti ai danni del Giappone durante la II Guerra Mondiale. Sarebbe almeno lecito immaginare che siano quelle stragi belliche senza precedenti la conseguenza più importante dell’operato di uno scienziato che era più interessato a sondare i limiti del fattibile che quelli dell’etica. Ma Nolan sposta la sua attenzione altrove.
QUALE DOVREBBE ESSERE IL CUORE DI UN FILM SU OPPENHEIMER?
Per riflettere su Oppenheimer non possiamo fare a meno di chiederci quale dovrebbe essere il punto focale del biopic in questione. Cosa sia veramente interessante per noi di quella vita, cosa sia rimasto di così importante da giustificare una pellicola biografica.
Per quanti rivoli tematici e opportunità di espansione orizzontale possa offrire l’esistenza di J. Robert Oppenheimer, è piuttosto ineludibile che il perno di tutto sia il fatto che, da ambizioso scienziato con un ego ipertrofico, rese possibili i più grandi crimini di guerra (come singolo atto bellico) della storia dell’umanità, con oltre 220.000 vittime civili – senza considerare le centinaia di migliaia di persone morte dopo i primi quattro mesi per gli effetti delle radiazioni.
Eppure, per qualche misteriosa ragione, Nolan sceglie di dedicare relativamente poca attenzione all’impatto psicologico che tale evento possa aver avuto sull’esistenza del fisico e decide invece di interessarsi molto di più alle sue simpatie politiche, alle sue amicizie femminili e all’ingratitudine del governo a stelle e strisce. Uno sfasamento tematico che lascia piuttosto perplessi e che si riflette in una struttura tripartita profondamente squilibrata a causa di un terzo atto ripetitivo, letargico e piuttosto irrilevante. Il tutto, macchiandosi di un revisionismo che plasma disonestamente la realtà ai fini della storia.
LA RICERCA SULL’ATOMO IERI, L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE OGGI
Se è vero che ogni crimine ha un colpevole, la semplificazione che vede in Oppenheimer un genio solitario travisa profondamente una delle fasi più magmatiche della cultura del ‘900. Accanto al ricercatore interpretato da Cillian Murphy furono molti gli uomini di scienza ad avere un ruolo di primo piano nella ricerca sull’atomo (gli stessi che nel film intravediamo appena come figure secondarie) e quel fermento collettivo, quel cambio totale di paradigma, ebbe da subito un impatto fortissimo anche sul mondo della cultura – dalla pittura alla letteratura. Oppenheimer non era un genio visionario e incompreso che intravedeva un mondo che sfuggiva a ogni altro. Era una delle figure chiave di qualcosa che stava scuotendo il mondo nello stesso modo in cui lo sta facendo oggi l’intelligenza artificiale.
Oppenheimer è tre film in uno. Si parte dal dramma enfatico e ruffiano da Oscar.
Eppure, è proprio da questa suggestione che parte il primo lungo segmento del film, o meglio il primo ‘film nel film’. E infatti Oppenheimer è sostanzialmente il risultato di tre mediometraggi diversi per genere e approccio, proposti uno dopo l’altro e tenuti insieme alla bell’e meglio, il primo dei quali è incentrato sulla giovinezza del protagonista. Un lungo esercizio di stile dai toni melodrammatici ed eccessivamente romanzati, che non ha nulla della classica zampata creativa di Nolan e anzi ricorda titoli ruffiani come La Teoria del Tutto e The Imitation Game. Il classico polpettone buono per tutti i palati, con eccessi di enfasi e che sembra confezionato spuntando tutte le caselle giuste per candidarsi agli Oscar.
Il cuore di Oppenheimer è la sua parte nettamente migliore: il Progetto Manhattan
La seconda parte del film, che è decisamente quella più riuscita, segue le vicende di Oppenheimer a capo del Progetto Manhattan. Un momento che appassiona soprattutto per il ritmo legato alla necessità di adempiere un’ampia serie di preparativi, per la tensione data dalle incognite imminenti, per gli assestamenti ai piani imposti dagli imprevisti e per i nuovi equilibri di potere che vengono a crearsi tra i personaggi. Tutti elementi che Christopher Nolan gestisce con maestria come una continua corsa contro il tempo.
La terza parte di Oppenheimer, un pesante dramma processuale che gira a vuoto
Vi è poi il terzo ‘film nel film’, un court drama pesantemente debitore dell’Oliver Stone di JFK (1991) completamente incentrato sulle audizioni per indagare le collusioni di Oppenheimer col partito comunista. Un blocco omogeneo ed estenuante che non aggiunge molto a quanto già detto nel film ma ne estende a dismisura la durata, allontanandolo irrimediabilmente dal focus iniziale. Qualsiasi spunto – pur presente in filigrana – sulla natura cangiante del potere politico si va a perdere in un pastiche retorico che culmina con un scena in cui il trucco prostetico per alcuni personaggi ormai anziani è di livello quasi amatoriale.
CILLIAN MURPHY DA OSCAR, PERÒ…
Cillian Murphy si è sempre contraddistinto per la sua presenza magnetica e per le sue doti recitative, e il riconoscimento di un Academy Award è un coronamento importante di una carriera non sempre all’altezza del suo talento. Il lavoro che fa per portare in scena J. Robert Oppenheimer va ben oltre il sacrificio fisico e lascia trasparire un grande impegno nel fare propria la figura di un genio tentato dalle lusinghe del potere e poi abbandonato. Anche su questa prova per molti versi maiuscola si può però fare qualche distinguo.
Innanzitutto la storia del film copre quasi quarant’anni, nei quali Oppenheimer passa dall’essere uno studente al diventare un «distruttore di mondi» per poi finire come ‘perseguitato politico’. Il personaggio subisce trasformazioni profondissime, sulla carta, eppure l’interpretazione di Murphy è più o meno sempre la stessa, come se avesse attraversato quelle vicende così uniche senza lasciarsene troppo influenzare.
A questo dobbiamo aggiungere che il protagonista fallisce nel rendere la specificità caratteriale del vero Oppenheimer. A un attore non è richiesto di essere un imitatore, certo, ma Oppenheimer aveva una presenza estremamente manipolatoria e un’incredibile sicurezza di sé, che traspariva da una prossemica piantata e consapevole e da un eloquio mesmerico (guardatevi qualche video d’epoca). Elementi fondamentali per definire il personaggio, dei quali però non vi è traccia.
Sapendo poi che pare Murphy sia ricorso a una dieta a base di digiuno e amfetamine per dimagrire quanto necessario per la parte, non potrete fare a meno di notare come tenda a sgranare totalmente gli occhi di continuo – nota conseguenza delle sostanze psicostimolanti – senza alcuna ragione apparentemente legata alla performance attoriale.
IL MONTAGGIO, CROCE E DELIZIA DI OPPENHEIMER
La necessità di raccontare un arco temporale così lungo da una parte costringe Nolan alla durata monstre di tre ore, e dall’altro richiede un montaggio relativamente serrato. La gestione dei tempi, almeno finché non subentra la parte processuale del lungometraggio, funziona ottimamente ed espedienti narrativi come inserti di montaggio che preludono all’attività delle particelle subatomiche contribuiscono in modo decisivo a costruire l’attesa.
C’è però un aspetto di questo montaggio premiato con l’Oscar che funziona molto meno, ed è la sua interazione con una sceneggiatura tutt’altro che adamantina. Alcune scelte di editing quantomeno confusionarie e l’assenza di una mappa narrativa facilmente navigabile fanno in modo che i diversi piani temporali si confondano e sovrappongano, a tutto danno della scorrevolezza e della chiarezza.
IL PROBLEMA DELLA SCENA DELL’ESPLOSIONE
E ad esser tagliati dal film non sono solo nessi e riferimenti, ma anche momenti chiave della storia. È direttamente la sceneggiatura infatti a escludere dal girato quello che tutti aspettavano come l’acme del film: lo sgancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki. «Non lo famo ma lo dimo», avrebbero spiegato gli sceneggiatori di Boris, ma ironia a parte la scelta artistica di lasciare off screen dei passaggi così fondamentali priva il film di quello che avrebbe potuto essere il suo apice emotivo.
L’esplosione tanto annunciata e mostrata è invece solo quella del test Trinity; una ‘esplosione a vuoto’ che giova di una scelta di montaggio audio di particolare efficacia ma che per spettacolarità non è necessariamente migliore – tenuto conto delle grandi differenze di budget – di quella straordinariamente messa in scena da David Lynch nell’ottava puntata della terza stagione di Twin Peaks.
Lo spettatore inoltre durante il film non sa che quella del test sarà l’unica esplosione mostrata, e quindi il climax costruito per tutte le prime due parti finirà per imbattersi in questa scelta inattesa e castrante, che si annacquerà poi nella pesantissima conclusione di stampo court drama.
I CONTINUI SPIEGONI E LE MUSICHE INVASIVE
La scelte di scrittura non si riverberano solo nella trama e nel suo svolgimento ma, molto più banalmente, anche nei dialoghi. Colpisce infatti negativamente come quasi ogni battuta proferita dai personaggi suoni innaturale, sempre finalizzata ad esplicitare elementi funzionali all’avanzamento dell’ordito narrativo. Mai qualche chiacchiera che dia colore o renda vivo il contesto. I personaggi non parlano mai come persone vere, non hanno mai degli scambi non essenziali: è un susseguirsi continuo di spiegoni su chi siano e cosa debbano fare. E non bastano le musiche onnipresenti del solitamente ottimo Ludwig Göransson – sempre sopra le righe, enfatiche e invasive – a dare la carica emotiva che manca al parlato.
LA SPIEGAZIONE DEL SIGNIFICATO FINALE DI OPPENHEIMER
Oppenheimer è un film che per molti versi va celebrato. Ha un’ambizione sconfinata, è la dimostrazione che un altro cinema che riempia le sale è possibile e per molti versi rimane comunque una pietra di paragone per l’anno cinematografico. Eppure, nonostante tutto, c’è anche una grande sfida persa: quella dell’attualizzazione. Raccontando il pericolo dietro il non sapersi dare dei limiti, Christopher Nolan avrebbe avuto la straordinaria opportunità di indicare il passato per raccontare il presente. Nulla come gli avanzamenti scientifici che hanno portato alla bomba atomica potrebbe parlarci degli attuali pericoli dell’Intelligenza Artificiale e qualche maggiore riferimento – ovviamente indiretto – sarebbe stato funzionale allo scopo. Ma purtroppo quel finale incredibilmente retorico e ammiccante appiattisce tutto su un pericolo che, paradossalmente, Nolan sceglie di non mostrare davvero per tutto il film.