Matteo Garrone ci ha provato. Tale of Tales ha cercato di resuscitare il pregiatissimo barocco napoletano del ‘600, diffondere il “verbo” di Giambattista Basile e di mettere le radici per un futuro filone fantasy. Il momentum era il migliore possibile. Game of thrones ha ormai delineato le regole del genere, relegando l’epica – quella componente che aveva fatto grande Il signore degli anelli di Jackson – a comprimaria, in favore di un intreccio che procede secondo le regole del sangue e della carne.
Garrone coglie la palla al balzo e, avvalendosi di un cast internazionale di altissimo livello, porta su pellicola la superstizione, l’eccentricità, la carne e il sangue de Lo cunto de li cunti, consegnando alle sale un buonissimo film, il quale, tuttavia, si rivelerà, a livello di incassi, un’ecatombe.
Il film si è portato a casa sette David, perché non riproporlo in sala? Perché Lo chiamavano Jeeg robot e Perfetti sconosciuti sono tornati su centinaia di schermi e il film di Garrone no?
Gli incassi di Quo vado? fanno benissimo, per carità, eppure visionando il box office del 2016 italiano, si evince come il cinema americano e straniero si stia pericolosamente imponendo su quello nostrano. Negli ultimi anni da tendenza è passata ad abitudine, tanto che ogni film italiano che esce è sempre soggetto di scetticismo. Lo è stato Garrone, lo sono stati Sorrentino e Moretti e lo è in questi giorni Andò. Gli autori contemporanei del cinema italiano sono stati marchiati a fuoco perché meno bravi dei vari Fellini, Visconti, De sica, nonostante all’estero vengano incensati. Mia madre è stato scelto da “Cahiers du cinema”, la rivista di cinema più importante al mondo, come miglior film del 2015, Francesco Rosi è uscito vincitore dalla berlinale grazie al suo Fuocoammare, o ancora, tornando indietro, il premio oscar a Paolo Sorrentino per La grande bellezza e, nello stesso anno, il grand prix della giuria di Cannes assegnato al bellissimo Le meraviglie di Alice Rohrwacher.
La giuria dei David di Donatello ha, colpevolmente, snobbato Bella e perduta di Pietro Marcello, uno dei film più interessanti del 2015, al pari del testamentario Non essere cattivo del compianto Claudio Caligari.
Non è un caso, allora, che i due film rivelazione del 2016 siano due film “americaneggianti”, come Veloce come il vento di Rovere e Lo chiamavano Jeeg robot di Gabriele Mainetti. Queste pellicole fanno sicuramente bene all’industria nostrana, sia perché sono opera di giovanissimi, Mainetti addirittura esordiente, sia perché potrebbero aprire la strada a dei generi che nel belpaese non sono mai stati presenti, “superhero movie” e film sulle corse, proprio come avrebbe dovuto fare Garrone con il suo Tale of tales, il quale, se vogliamo, poteva anche contare su una funzione “didattica”, completamente trascurata dalla scuola. Il giovane favoloso era stato un successo anche grazie alla massa di scolaresche in trasferta per apprendere qualcosa sulla vita di Giacomo Leopardi. Perché non farlo anche per Basile? Perché non portare al cinema le classi?
Con tutto il rispetto per gli ottimi film di Mainetti e Rovere, che come abbiamo detto fanno benissimo al cinema italiano, perché Tale of tales è stato accolta con scetticismo e le altre due pellicole con entusiasmo?
Siamo arrivati ad un punto in cui ci si stupisce di vedere un buon film italiano, ci sorprendiamo se vediamo quattro film in concorso a Venezia o, come l’anno scorso, quattro film italiani in concorso a Cannes. La schiera di registi che realizzano film “d’autore” fatica ad approdare al cinema, ne è un esempio A bigger splash (altra produzione internazionale), rimasto solo pochi giorni in sala, oppure lo stesso Fuocoammare di Rosi, che, premiato a Berlino e apprezzato all’estero è passato in sordina fra poche e sparute sale dei “cinema d’essai” italiani. Il cinema “intellettuale” guadagna di meno del cinema d’intrattenimento, anche ciò non è una novità, ma, se prima era la commedia ad uscirne vincitrice – De sica continua, incredibilmente, ad uscirne vincitore – oggi a vincere è il film d’intrattenimento di matrice americana.
Allora Cotroneo si inventa un pessimo remake di Noi siamo infinito (Un bacio), Mainetti gira un ottimo film come Lo chiamavano Jeeg robot e Rovere gira Veloce come il vento.
Il caso più clamoroso è quello che riguarda Zeta di Cosimo Alemà – film che non abbiamo visto e non giudichiamo –; una pellicola che fino a tre o quattro anni fa non sarebbe mai potuta esistere, in quanto il rap non era tema accettabile per un produttore italiano. Lo stesso Mainetti ha detto in varie interviste di aver combattuto circa sei anni per produrre Jeeg, che sicuramente nel 2011 o 2012 non avrebbe mai riscosso il successo di questi mesi.
Il gusto del pubblico italiano sta mutando “più in fretta di quanto muti una città”, parafrasando Baudelaire, sta perdendo la sua identità nazionale e il cinema italiano comincia, adesso davvero, ad essere pericolosamente disprezzato in patria e venerato fuori. Non è un caso nemmeno il fatto che Sorrentino stia preparando una produzione internazionale con la HBO (Il giovane papa con Jude Law e Diane Keaton), oppure che Roberto Minervini, talentuoso documentarista marchigiano, si sia stabilito in America e abbia cominciato a lavorare con case produttrici statunitensi. Non è un caso nemmeno il successo di Gomorra – la serie, in un mondo in cui la tv sta inghiottendo il cinema. Non è un caso, infine, che Tornatore, un regista da sempre fedelissimo alle sue origini siciliane e alle caratteristiche del suo paese d’origine, abbia preferito lavorare con attori stranieri sia in La migliore offerta che in La corrispondenza.
I nostri registi preferiscono girare in lingua inglese per essere già pronti al panorama mondiale, mettendo a repentaglio l’identità della nostra cinematografia, da sempre fortissima in tutto il mondo.
Aspettiamo con ansia, allora, l’unico film italiano in concorso a Cannes, Pericle il Nero di Stefano Mordini, prodotto ed interpretato da Riccardo Scamarcio e tratto da un romanzo di Giuseppe Ferrandino. Una produzione tutta italiana che vedremo in anteprima il 9 Maggio.
Il cinema italiano sta perdendo la sua identità?
Mentre finalmente ci stiamo aprendo a produzioni di genere che portano una ventata di freschezza, ci stiamo dimenticando la grandezza del nostro cinema d'autore?