Qualche anno fa, di questo periodo, Paolo Sorrentino aveva rilasciato una dichiarazione interessante ai detrattori de La grande bellezza: relativamente alle lamentele legate alla “vacuità” della pellicola, il partenopeo aveva commentato così “Ho fatto un film su delle persone che non vanno da nessuna parte; mi sembrava giusto che anche il film non andasse da nessuna parte”.
Il teorema è applicabile anche per The neon demon, l’ultima fatica di Nicolas Winding Refn. Una pellicola che resta in superficie, che non vuole scalfire la superficie e che si occupa della superficie per eccellenza: la bellezza.
Inconcludente, a tratti misogino, ossessivo eppure magico, affascinante, eccitante e quasi pornografico.
Il cinema di Refn è follia, invenzione e estetica “Huysmansiana” spinta oltre i limiti. The Neon Demon è una vertigine psicomagica.
Specchio e Vergine, due temi “Bergmaniani” per descrivere la pellicola di Refn. Keanu Reeves, pervertito proprietario del motel dove alloggia Jesse (Elle Fanning), desidera la sua virginità; le modelle desiderano il suo corpo, la sua pelle bianca e liscia, i suoi occhi rari e il suo candore, virtù che tramite la “plastica” non possono essere ottenute.
Gli specchi, invece, sono l’unico modo di comunicare delle modelle di Los Angeles. Ogni dialogo viene inevitabilmente filtrato attraverso lo specchio, le ragazze parlano ai riflessi propri ed altrui, scaraventano oggetti contro il vetro per rabbia e narcisisticamente si contemplano davanti ad essi.
Una vergine innocente e candida deve proteggersi dal mondo dei riflessi e degli specchi, dalla vita patinata e glam della città più patinata e glam che ci sia.
La trama è nulla, l’intreccio non esiste e la storia è un pretesto per le immagini.
In Fare un film, Federico Fellini scriveva che il cinema, per essere perfetto, doveva abbandonare definitivamente le “trame”, affidarsi all’immagine e al suono e ridurre ai minimi termini la “parola”, sfruttarla per “accompagnare” lo spettatore nella pellicola e nulla di più. Federico ‘chiamò’ e Nicolas ‘rispose’.
La Los Angeles di Refn è buia, annebbiata, chiusa nell’oscurità, vuota e silenziosa, non si vede mai la luce del giorno o del tramonto, l’unico “sole” che esiste, secondo Sarah (Abbey Lee), è Jesse. Le uniche fonti di illuminazione in The Neon Demon sono i neon, i flash, le lampade e lo sfondo bianchissimo del set fotografico che appare per la prima volta dopo trenta minuti, “rompendo” gli occhi dello spettatore. Neon rossi, blu, verdi, onirici, una visione che sembra influenzata da un qualche tipo di droga particolare, (come “’A Frizzantina” di Non essere cattivo), per un film certamente tossico.
Elle Fanning è l’unica luce naturale, la sola cosa che illumina il cammino, la sola cosa originale. Il regista insiste sui due tipi di bellezza, l’artificiosa e la naturale, inquadra Jesse in modo diverso, la rende l’unica persona in un mondo fatto prevalentemente di gambe lunghe (aspettate il finale per vedere una delle più belle inquadrature di gambe della recente storia del cinema), make up pesante e stupidità unita a furbizia; Refn racconta le donne che odiano le donne, le donne misogine, impegnate in una battaglia intestina dove c’è collaborazione ma non c’è amicizia, un universo dominato dal Plautiano “homo homini lupus” e dal desiderio della bellezza virginale, quella perfezione ‘totale’ che inevitabilmente svanisce col passare degli anni, con la perdita della virginità e con lo sviluppo di un senso di responsabilità e di percezione del reale, attraverso il quale le modelle della ‘industry’ sono pronte a 15 anni e pensionabili a 21.
Refn racconta in modo ‘horror’ la realtà, lo star system Hollywoodiano e il mondo impenetrabile delle sfilate di moda e lo fa, in fondo, attraverso una favola.
Tutto comincia con una pioggia di glitter, come quella d’oro che fecondava Danae e la musica di Martinez comincia già ad insidiarsi nella testa; Elle Fanning è uno spettacolo a sé e il suo faccino da bambina mette in risalto la perversione di Refn, secondo cui “ogni uomo sogna di essere una bella ragazza di sedici anni”; a cinquant’anni di distanza, la fotografia e l’immagine raggiungono il loro apologo, da Blow-up a The Neon demon, dai colori cocainomani di Suspiria alla provocatoria arte fotografia di Guy Bourdin, maestro della fotografia di moda del ‘900 e forse pigmalione per l’estetica dell’ultimo grande capolavoro di uno dei più interessanti registi contemporanei.
NWR è tornato.
Restate fino alla fine dei titoli di coda e godetevi, nel finale, la citazione ad Apocalypse now.
Perché quando il film arriva alla sua logica conclusione, Refn si spinge ancora più lontano, sempre più in là, fra le gambe lunghe delle donne-vampiro e le mestruazioni delle streghe.
The Neon Demon, una vertigine psicomagica
Con una pellicola surrealista e ammaliante, Refn scava in profondità e ragiona per immagini sulla superficialità.