“I think that general public has no idea what roadies do. Bless ‘em all. I just play the songs. They make the show happen” (Tom Petty)
Con un pilot di un’ora Cameron Crowe (che con Quasi Famosi ha vinto l’Oscar come miglior sceneggiatura originale, ma che vanta nel proprio CV anche Jerry Maguire) ci regala quasi un piccolo film, leggero, divertente e, per certi versi, romantico.
La serie, in onda su Showtime, vede tra i produttori esecutivi J.J. Abrams e Bryan Burk (co-produttori in Lost, Fringe e 11.22.63), oltre che Winnie Holzman e lo stesso Crowe (che del pilot ha curato sia la sceneggiatura sia la regia). Kelly Curtis, manager dei Pearl Jam, è stato coinvolto da Crowe come supervisore musicale.
J.J. Abrams ha dichiarato che già credeva nel progetto, e dopo aver letto la prima stesura della sceneggiatura l’ha trovata ancora più esplosiva e divertente di quel che immaginava.
Bene, ci viene da dire.
Roadies forse sarà un nuovo pezzo del puzzle musicale di cui, da qualche anno, si tenta di parlare. Si distanzia da Nashville, da Empire (entrambe trasmesse su Fox Life) e da Vinyl (Sky Atlantic), perché Roadies, come dichiarato dalla citazione di apertura, mette in scena quel detto che spiega che dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna.
Roadies parla di una categoria in ombra, che lavora dove gli altri si divertono; gente lontana dai propri affetti, continuamente in tournée pur non essendo la star; persone che anche nel tempo libero non hanno tempo libero e che, come sottolineato più volte nel pilot, per sopravvivere devono costruirsi una nuova famiglia fatta di colleghi, capi, collaboratori. E come in ogni famiglia degna di essere raccontata si comincia con un problema: un outsider, dedito al denaro più che alla passione per la musica, arriva a portare brutte notizie. Reg (Rafe Joseph Spall), molto british e più umano di quel che vuole far sembrare, ingaggia subito una lite con Kelly Ann (Imogen Poots, Need for Speed). Lei, con un paio di battute, spiega allo spettatore la condizione della musica oggi e si schiera romanticamente con la chitarra di Jimi Hendrix e contro tutto ciò che Reg rappresenta: il profitto, il brand e le t-shirt di Jimi Hendrix in vendita negli store online.
Il resto del cast entra bene nel meccanismo e i quasi sessanta minuti di pilot ci presentano bene gli altri personaggi principali, tra cui spiccano Bill, il tour manager, interpretato da Luke Wilson (I Tenenbaum) e la collega Shelli (Carla Gugino, che conosciamo da Wayward Pines).
I personaggi sono tutti in fuga: c’è chi scappa da un matrimonio logoro, chi da una vita incompleta, chi dall’assumersi le proprie responsabilità, e il bello è che nessuno di loro ne è consapevole.
Life is a Carnival, la vita è un carnevale, è il titolo di questa prima puntata, e in un carnevale ben congegnato non mancano personaggi disegnati attorno al loro ruolo: la groupie-stalker pronta a tutto pur di entrare nel camerino delle sue star preferite; l’addetto alla sicurezza, ovviamente alto almeno un paio di metri; un cowboy folle pieno di aneddoti da snocciolare e che ha visto nascere il rock americano al proprio tavolo della colazione.
E poi c’è la musica, che attraversa l’intero episodio trasversalmente con una colonna sonora davvero notevole, in cui riconosciamo Tangled up in blue (Bob Dylan), Don’t Wait (The Duke Spirit), I wish I was sober (Frightened Rabbit), All we ever knew (The head and the heart) e Given to fly (Pearl Jam).
Man mano che l’episodio arriva verso la sua conclusione la to-do-list dei roadies si accorcia, viene accolto il gruppo spalla, i The Head and The Hart, i musicisti che scalderanno il pubblico in attesa del vero concerto per cui tutti stanno lavorando, quello della Staton House Band.
Staton House Band che incrociamo di sfuggita, di cui non sentiamo alcun pezzo e che non vediamo sul palco, perché siamo con i roadies nel backstage.
Questo pilot è un film di un’ora che crea un mondo il quale, a sua volta, ha tutte le carte in regola per generare infinite storie. Non è un caso che la sceneggiatura di Crowe ci faccia ascoltare per ben due volte il gruppo spalla e mai la Staton House Band: quella che viene raccontata, qui, è la storia di chi, più o meno nell’ombra, lavora per trasformare una chitarra, un microfono e un amplificatore in un evento, dai roadies al gruppo spalla. Tutti conosciamo le star, è ora di sbirciare nel backstage.
Presto vi aggiorneremo sulla messa in onda italiana.
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