Ethan Hawke e Greta Gerwig, due grandi talenti del cinema indipendente americano, si incontrano per la prima volta ne Il Piano di Maggie, commedia del 2016 disponibile ora in home video CG Entertainment/Sony HE. Hawke fu scoperto vent’anni fa da Richard Linklater e Andrew Niccol: Prima dell’alba, Prima del tramonto e Before midnight, Boyhood, poi ancora Gattaca, Fast food nation, Good kill e chi più ne ha più ne metta.
Ethan Hawke è già un’icona totale, mentre Greta Gerwig è una stella ancora in divenire, forte del sodalizio artistico e sentimentale con il grande amico di Wes Anderson Noah Baumbach, che da Lo stravagante mondo di Greenberg (2010), non ha più rinunciato alla bella Californiana. Ci ha conquistato come ballerina in Frances Ha e poi in coppia con Lola Kirke altra giovane da tenere d’occhio) in Mistress America. Il suo debutto solistico alla regia con Lady bird, che è arrivato molti anni dopo il Nights and Weekends diretto in tandem con Joe Swanberg e cui è seguito Piccole Donne, ha ricevuto consensi quasi unanimi.
Attorialmente nella prima parte della sua carriera la Gerwig si è imposta con un personaggio “Sordiano” se ce ne è uno: affabulatrice e sorniona, scaltra ed egoista, un po’ viscida, ma comunque, sorprendentemente simpatica.
Ne Il Piano di Maggie – A cosa servono gli uomini (Maggie’s Plan) il copione non cambia. Maggie Hardin è una giovane donna che desidera un bambino ma non riesce a “tenersi” un uomo per più di sei mesi. Si affida allora alla fecondazione assistita, ma il suo obbiettivo, il ‘piano’ del titolo, naufraga quando conosce lo scontento John (Ethan Hawke), professore universitario e scrittore in erba, marito di Georgette (Julianne Moore), presto rettore della Columbia. I due si innamoreranno, ma dopo poco tempo, Maggie, ordirà un nuovo ‘plan’.
Ethan Hawke è un personaggio perfettamente “Alleniano”: medio-borghese, accademico, intellettuale, ma sopratuttto professore di una di quelle discipline che non si capisce cosa siano, la “Fictoantropologia, un misto tra antropologia e narrativa”. Sta provando a scrivere un libro ma manca di talento e preparazione, vaga per il parco con i suoi volumi e le sue carpette, cercando di evitare l’università in tutti i modi possibili. Perché? Semplicemente a causa della moglie, anche essa accademica, di maggior prestigio rispetto a John, tanto da oscurarlo nell’ambiente della Columbia.
Nel film di Rebecca Miller, infatti, a comandare sono le donne. Come nello migliori Screwball comedy, i piani, le “macchinazioni” e le “trappole”, sono frutto della mente femminile, sia che siano figlie dell’ambizione di Maggie, sia che siano il risultato di una collaborazione con un’altra donna. Le donne sono più furbe e scaltre degli uomini, come la leggendaria e pittoresca Hepburn di Susanna, capace di piegare al suo volere Cary Grant.
Il film, allora, procede in modo poco ortodosso, senza seguire un preciso filo narrativo, ma piuttosto rappresentando delle assurde scene di vita quotidiana, nelle quali la caotica vita matrimoniale viene rappresentata in modo totale: la difficoltà ad andare via insieme per i genitori, le insoddisfazioni matrimoniali, i bambini, l’età che avanza. Niente è stereotipato, i personaggi sono credibili e vivissimi, scritti con grande precisione e fantasia. Su tutti spicca, non lo ripeteremo mai abbastanza, Greta Gerwig, egoista e disorganizzata, ma comunque simpatica, tenera, vestita da “vecchietta” ad ogni scena, sotto a strati e strati di maglioni lanosi e colorati, dentro una casa piena di libri. Intendiamoci, però: Greta rimane bella anche asserragliata sotto generosi maglioni.
L’ultima fatica della Miller, ormai giunta al quinto lungometraggio, è quella che convince di più. Nonostante la pesantissima eredità paterna (Rebecca è figlia del “grande” Arthur di Morte di un commesso viaggiatore), la regista è riuscita ad affrancarsi e a crearsi una propria poetica.
Tra un film dei fratelli Coen e una commedia New-yorkese di Woody Allen; con una Gerwig perfetta e in continua ascesa, coadiuvata dalla risibile ingenuità di Ethan Hawke e dalla follia di Julianne Moore (che in certi frangenti sembra davvero la pittrice de Il grande Lebowski), Maggie’s plan è la migliore sorpresa del Biografilm festival e uno dei più fini esempi di commedia leggera ma intelligente, capace di far ridere genuinamente. Il cinema indipendente americano negli ultimi anni è in grandissima in forma.