Questo articolo parla apertamente delle rivelazioni fatte durante “The winds of winter“, l’episodio conclusivo della sesta stagione di Game of Thrones.
La turbolenta sesta stagione di Game of Thrones è giunta al termine, e il finale è stato un capolavoro esplosivo (sotto tutti i punti di vista), una sfida artistica e produttiva che nulla ha da invidiare al miglior cinema. Gli showrunner hanno portato a compimento l’arco narrativo con maestria, riuscendo nel non facile compito di superare se stessi e di sorprendere un pubblico ormai abituato all’eccellenza.
Questa stagione ha sancito il definitivo allontanamento dai romanzi, e se questo poteva essere un rischio secondo alcuni eccessivo, la storia si è rivelata perfettamente equilibrata, finalmente scevra da tutti quei pesi narrativi che, da un paio di romanzi a questa parte, stavano gravando sulla versione letteraria delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco.
La puntata si apre con una sequenza lentissima, struggente e luttuosa senza che lo spettatore riesca perfino a realizzare il perché, scandita dai terribili rintocchi delle campane e da note di piano e archi meravigliosamente insolite e moderne rispetto a qualunque stereotipo fantasy che impone quasi per legge una sorta di epicità medievaleggiante.
Qui non c’è spazio per gli stereotipi: c’è solo emozione. I meravigliosi primi piani di Lena Headey, i movimenti di macchina fluidi e lenti che alternano le immagini all’interno della Fortezza Rossa al tramestio nervoso del Grande Tempio fanno crescere un senso di inquietudine superato solo (nei romanzi) dall’angoscia crescente dei capitoli che precedevano le Nozze Rosse. Ed è proprio al culmine di questo percorso che tutto cambia di colpo. La storyline di Approdo del Re, nel corso della stagione, era stata la più immobile, fino a risultare esasperante, con gli sproloqui dell’Alto Passero e le sempre più futili macchinazioni della regina e dei suoi infidi alleati. Sembrava una linea narrativa destinata a cristallizzarsi, ed ecco che, proprio sulla soglia dell’inevitabile, avviene la catarsi: un colpo violento, repentino e improvviso, senza ritorno, colorato del verde dell’Altofuoco, ha non solo concluso la storia riaprendone una del tutto nuova e imprevedibile, ma ha dato un senso alla lentezza di tutto ciò che abbiamo visto accadere in precedenza.
Questo finale di stagione ha raccolto le fila di tutte le puntate precedenti: la storia di ogni personaggio arriva al proprio compimento temporaneo. L’inverno è finalmente arrivato. Da adesso in poi, tutto cambierà. Mai come quest’anno, un finale di stagione ha posto la parola “fine” in modo tanto netto.
A est, Daenerys è ormai pronta per ciò che aspettiamo fin dalla prima stagione, e anche a lei tocca il doloroso compito di chiudere definitivamente un capitolo della propria vita e prepararsi ad affrontare il prossimo, con le navi dei Greyjoy, le armi degli Immacolati e dei Dothraki, il fuoco dei suoi tre draghi e la saggezza di Tyrion.
Menzione speciale la merita un divino Peter Dinklage, il cui solo sguardo nel momento in cui Daenerys nomina Tyrion Primo Cavaliere della Regina è un esempio di altissima recitazione, offrendo un’intensità che di rado si ha l’occasione di vedere (soprattutto in televisione, ma anche al cinema).
Al nord, la casa Stark inizia a stabilire le fondamenta per la propria rinascita e vediamo evolvere il rapporto tra Jon e Sansa, benché il diavolo tentatore Ditocorto stia già tessendo le proprie trame, i cui sviluppi nelle stagioni successive possiamo solo immaginare.
Il “branco di lupi” degli Stark inizia a ricompattarsi. Ritroviamo brevemente anche Arya, in una scena piccola ma dirompente, dal forte sapore shakespeariano, nella quale la ragazza, ormai padrona delle arti degli Uomini senza volto, attua la propria vendetta sull’odioso Walder Frey (immenso, grottesco, impeccabile l’attore David Bradley nel suo dar vita a un personaggio ripugnantemente privo di aspetti positivi).
Bran, ancora oltre la Barriera, si separa dal non-morto zio Benjen e, ormai consapevole dei propri poteri, penetra nuovamente in una visione che rivela, dopo anni di speculazioni, le origini di Jon. Il passaggio dagli occhi del neonato a quelli del giovane guerriero è giustamente didascalico, come il gesto sapiente del prestigiatore che toglie il velo per mostrare al pubblico la propria magia più riuscita, e nulla toglie al senso di rincuorata meraviglia che questa rivelazione porta al pubblico.
È proprio questo passaggio che ci riporta nelle sale di Grande Inverno, e qui gli showrunner decidono di sorprenderci riproponendo quasi per filo e per segno una scena già vista: c’è un nuovo Re del Nord, acclamato dai propri lord su note potenti accompagnate dal sibilo delle spade offerte come segno del giuramento, proprio come fu per Robb Stark. Nella potenza generale della scena, svetta su tutti la piccola Bella Ramsey, interprete di lady Lyanna Mormont. Con la sua arringa severa, il suo volto di pietra, la sua forza dirompente, l’attrice di soli 12 anni riesce non solo a zittire tutti i vecchi lord vassalli degli Stark, ma anche a rubare la scena ai colleghi che li interpretano, giganteggiando incontrastata anche sui protagonisti.
Samwell Tarly ci regala (come spesso accade) gli unici sorrisi nel turbine di passioni e di violenza dell’episodio: giunto finalmente a Vecchia Città, il goffo guardiano della notte si presenta al cospetto di un azzimato Maestro per essere ammesso agli studi nella Cittadella. Qui i due attori creano un gioco di sguardi, di gesti, di alzate di sopracciglio, misurato e perfetto, una macchina comica priva di sbavature, che culmina in una scena gloriosa e visivamente sbalorditiva con l’ingresso del ragazzo nella sterminata biblioteca.
Varys, intanto, sta preparando nuove alleanze per Daenerys a Westeros, sfruttando l’odio per i Lannister che arde nelle casate Martell e Tyrell. Un attimo dopo (con un’incoerenza temporale che è forse l’unica pecca di questo episodio), lo ritroviamo al fianco della Madre dei Draghi, imbarcato su una delle navi che, a migliaia, si preparano a invadere il Continente Occidentale.
I venti dell’inverno non è un episodio qualsiasi: questa puntata memorabile ha fissato per la narrazione televisiva un nuovo standard che sarà difficile eguagliare in futuro: la tensione narrativa è dosata con sapienza, senza orpelli né eccessive facezie; la regia è asciutta pur concedendosi i propri tempi, perché qui non si sta raccontando una storia di avventura: si sta raccontando una grande storia. La fotografia, come sempre, è tra i punti di forza: la gestione dei colori e dei diversi tipi di illuminazione caratterizza in modo splendido le aree geografiche così diverse tra le quali si dipanano i numerosi fili del racconto.
Quanto agli attori, mai come in questo episodio il cast è sembrato consapevole di essere parte di un affresco unico. Ciascuno ha dato il proprio meglio, riversando sugli spettatori una quantità quasi ingestibile di emozioni. Erano i loro occhi, prima ancora della sontuosa CGI, a far sì che il pubblico vedesse le meraviglie di questo mondo immenso e terribile.
L’inverno finalmente è arrivato, e visto ciò che i suoi venti hanno portato in questo finale di stagione, possiamo solo stringerci in attesa che le promesse vengano mantenute. Ormai mancano solo 13 episodi (divisi in due stagioni brevi) alla fine di questa intensa avventura chiamata Game of Thrones.