Gioiellino. È questo il termine che verrebbe subito in mente per descrivere un film come Güeros. Un termine che, per quanto abusato e inflazionato, ci sta tutto. In realtà l’opera prima del regista messicano Alonso Ruizpalacios è molto di più. Rapportato ai budget che caratterizzano le grandi produzioni è un film “piccolo” ma il risultato che porta a casa è gigantesco. Alonso Ruizpalacios riporta sul grande schermo la voglia di sperimentare e nello stesso tempo di tornare alle origini, il cinema delle storie, delle immagini, di un “detto” che ha un passato e che si proietta verso il futuro. Non a sproposito, per quanto in un recinto allo stato ancora embrionale, Güeros è stato accostato al cinema della Nouvelle Vague, a Truffaut e Godard. Allo stesso modo non è forse un caso che Ruizpalacios abbia voluto girare in bianco e nero, preferendo però i chiari della trasparenza al contrasto duro dei colori.
Del regista messicano, classe 1978, si sa che ha lavorato prevalentemente nel teatro e che, dopo il corto Café Paraiso premiato in patria, è approdato a questo suo primo lungometraggio, di cui ha scritto anche la sceneggiatura, con il quale si è aggiudicato il premio per la migliore opera prima al Festival di Berlino del 2014. In Güeros (che significa bianco di carnagione) dell’opera prima si coglie in ogni istante tutto l’entusiasmo, la voglia di scrutare orizzonti, di cercare contenuti e tecniche di ripresa appropriati, di lasciarsi andare, di seguire il cuore ma anche il compiacimento personale. A metà tra road movie e commedia, Güeros è il manifesto del regista per descrivere la sua passione verso il Messico, il suo Paese. Al pari, emerge nel film anche la sua passione per il cinema che, ci fa sapere implicitamente il regista, deve avere qualcosa da raccontare. In questo caso è un racconto di fughe e, soprattutto, di fuga dall’età giovanile a quella più matura, della consapevolezza, della coscienza, del riconoscimento dei limiti ma anche dell’immutato desiderio di superarli, della ricerca dei sentimenti e delle persone giuste a costo di perdersi tra la folla. Da questo impianto principale scaturisce anche una riflessione sul tempo, sulla sua capacità di modificare le persone, le città, il cambio di prospettiva tra il pieno e il vuoto, tra l’utile e il necessario, tra il conformismo e l’anti conformismo.
Alonso Ruizpalacios riesce in tutto questo? Sì. Ci riesce decisamente grazie alla storia, alla forza che danno ai personaggi i giovani attori (Tenoch Huerta, Sebastiàn Aguirre, Ilse Salas, Leonardo Ortizgris) e alla potenza delle riprese, che oscilla tra inquadrature lente, quasi statiche, e sequenze vissute dal punto di vista dei protagonisti girate con la macchina a spalla.
Tomàs è un ragazzino difficile, senza particolari passioni se non quella di ascoltare frequentemente una musicassetta di Epigmenio Cruz, un cantautore “maledetto”, profondo ma senza successo, dalla vita disordinata, “A lui è sempre piaciuto rovinare tutto”. Narra la leggenda che ascoltando una sua canzone Bob Dylan pianse. La madre, di Tomàs, pensando di non essere più in grado di gestirlo, lo manda da suo fratello Fede che fa l’università a Città del Messico e che condivide un appartamento con un suo collega universitario, Santos. Un giorno Tomàs apprende da un trafiletto di giornale che Epigmenio Cruz è ricoverato in ospedale per una cirrosi e propone agli altri due ragazzi di andarlo a trovare e conoscerlo. Da quel momento inizia il loro viaggio alla ricerca del cantautore. Una ricerca che si intreccia con storie di vita urbana e suburbana, con proteste e occupazioni universitarie contrassegnate dall’odore di cipolla, con la punteggiatura di radio e televisione che scandiscono il cambiamento e le contraddizioni di un’epoca e infine con le storie personali dei tre ragazzi e di Ana, la ex fidanzata di Fede, diventata leader del movimento universitario. Fede e Ana non stanno più insieme ma il loro è un bacio che al cinema non si era mai visto.
La pellicola, tra l’altro, riporterà lo spettatore italiano nelle atmosfere più genuine e cinematograficamente più riuscite del cinema italiano a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta. E comunque no, Güeros non è un film per soli cinefili, ma per tutti. Sicuramente consigliato per inguaribili romantici un po’ strampalati e scanzonati.
Güeros: giovani talenti e una regia già matura
La riuscitissima opera prima del messicano Alonso Ruizpalacios è un road movie in bianco e nero.