Adam Sandler una volta era il ragazzo d’oro di Hollywood. È stato per due anni di fila il terzo attore più pagato al mondo e per un lungo periodo i suoi film difficilmente hanno incassato meno di 100 milioni di dollari. La ricetta Sandler prevedeva tendenzialmente l’abbinamento di commedia (a tratti molto) demenziale con un sottotesto di malinconia e dolcezza, mai troppo approfondito ma sempre abbastanza presente da garantire la riconoscibilità di una formula.
Poi, nonostante un paio di pellicole di tutto rispetto come Ubriaco d’amore (Paul Thomas Anderson, non un regista qualsiasi) e Reign Over Me, ha iniziato a partecipare a produzioni sempre più scadenti e, un Razzie dopo l’altro (ha collezionato ben 35 nomination e 9 vittorie come peggior attore), è diventato portatore di una ‘maledizione’ che ne ha fatto progressivamente una garanzia di flop e che ora lo sta relegando a improponibili produzioni Netflix come The Ridicolous Six e The Do-Over.
MR COBBLER E IL RITORNO DI ADAM SANDLER ALLA COMMEDIA MALINCONICA
Questa premessa è fondamentale per inquadrare Mr Cobbler e la bottega magica, film del 2014 scritto (avendo espressamente in mente Sandler come protagonista) e diretto dal Tom McCarthy che due anni dopo avrebbe vinto l’Oscar per Il Caso Spotlight (e forse proprio per questo adesso il film sta arrivando nelle sale italiane). The Cobbler, questo il titolo originale, nasce con l’intento di riportare Adam Sandler a quel cinema comico venato di malinconia che gli ha regalato il successo, stavolta però sacrificando più di qualche sketch e virando sulla dramedy.
Max Simkin (Sandler) è un ciabattino depresso che mal tollera la piccola bottega ultracentenaria ereditata dal padre (Dustin Hoffman), ogni tanto scambia qualche parola con il barbiere vicino di bottega (Steve Buscemi), vive in solitudine con l’anziana madre e vede le vite degli altri scorrere davanti al proprio bancone. Un giorno si imbatte in una vecchia cucitrice per suole, che presto scopre avere il potere ‘magico’ di conferire voce e sembianze del proprietario delle scarpe con essa riparate a chiunque le indossi. Simkin inizia a usare le scarpe riparate con quell’attrezzo ‘fatato’ per fuggire dalla propria vita e immedesimarsi negli individui più disparati, ma presto scoprirà che i contrattempi che possono derivare da questo suo ‘passatempo’ sono tutt’altro che trascurabili e che quel ‘dono’ può essere usato per scopi ben più nobili.
NONOSTANTE UN REGISTA PREMIO OSCAR, MR COBBLER È STATO UN FLOP CLAMOROSO (E IMMERITATO)
La pellicola di McCarthy in America ha avuto solo una limited release, e con gli incassi internazionali e le vendite home video ha coperto a stento un quarto dei costi ed è stata distrutta dalla critica (su Rotten Tomatoes ha registrato un disastroso 9%). Lasciatevi dire una cosa, però: tale accanimento non è assolutamente giustificabile, poiché se collocato nel suo ambito di riferimento (pellicole senza particolari velleità artistiche e destinate a un pubblico di massa), The Cobbler è migliore di molti film analoghi anche attualmente in sala. Il punto è che odiare Adam Sandler è ormai diventato un esercizio di puro conformismo (reso facile dalle sue scelte lavorative, va detto), e che la sua pessima reputazione è diventata un vincolo per certa critica e un deterrente per l’industria e il pubblico – problema non da poco.
Mr Cobbler e la bottega magica è sì una pellicola che rinuncia a scavare a fondo nelle implicazioni del suo soggetto, ma d’altronde non nasce con questo scopo: è piuttosto una sorta di fiaba moderna che, navigando in superficie e sfruttando più di qualche ammiccamento narrativo, risulta comunque capacissima di intrattenere ed emozionare lo spettatore medio per un paio d’ore scarse. Nel suo genere, una pellicola che vale assolutamente la pena di vedere e che comunque non merita il trattamento riservatole dall’industria di settore.
BUONI SENTIMENTI PER TUTTI: UNA FORMULA CHE NON FUNZIONA PIÙ?
L’espediente del ‘vestire i panni del prossimo’ (to walk a mile in another man’s shoes) pone infatti le basi per uno script a vocazione mainstream che però risulta ricco e ben costruito, e che nel corso del suo sviluppo cambia direzione più di una volta. I toni, spesso grotteschi, non sono particolarmente comici, anche se qualche risata ci scappa, e presto le trasformazioni di Sandler diventano il pretesto per confrontare (superficialmente, lo ripetiamo) la vita di un calzolaio con quella di un criminale o di un famoso DJ, portando progressivamente a sviluppi della trama non scontati.
Il Sandler depresso delle prime scene, con quella sua insignificante naturalezza, fa quasi venir voglia di provare a rivederlo in qualche ruolo serio (mai dire mai), e anche quando il suo personaggio viene gestito ‘in comproprietà’ con il ricco cast, abbiamo sempre la percezione di una coesione d’insieme. Il film, volendo replicare la formula dei migliori successi dell’attore, cade prevedibilmente nel cliché – l’interesse amoroso, il ‘riccone cattivo’, il finale che nelle intenzioni vorrebbe maldestramente puntare a un sequel – eppure gioca con toni meno rassicuranti del solito per contenere quel buonismo generalizzato che troppo spesso ha appiattito le pellicole dell’attore.
Il problema è che McCarthy ha lavorato troppo a lungo allo script (steso nell’arco di due anni con Paul Sado) e quando la pellicola è stata pronta per la sala, ormai per la carriera di Sandler era troppo tardi. Riconosciamo però a Barter Entertainment il merito di aver portato la pellicola in Italia, perché se vi sono piaciute le commedie di maggior successo di Sandler, apprezzerete anche questa.