Si è parlato tanto, tantissimo del nuovo Ghostbusters. Prevalentemente male e soprattutto senza che nessuno avesse visto qualcosa in più del pessimo trailer. A pensarci con un po’ di lucidità, è un pessimo esercizio di obiettività quello di giudicare una pellicola prima ancora di essersi recati in sala, ma quando ci si deve confrontare con uno dei film più amati degli anni ’80 – uno di quelli nel cui culto sono cresciute almeno un paio di generazioni, che ha inventato un genere cinematografico e che tutt’ora riscalda i cuori di una devotissima comunità globale – allora no, rischia di non esserci troppo spazio per la lucidità.
Sicuramente l’iter che ha portato alla nascita di questo Ghostbusters del 2016 è stato tutt’altro che lineare: per lunghi anni si è parlato di un sequel diretto, ma degli script pessimi, il rifiuto di Bill Murray di legarsi al progetto e la prematura scomparsa del co-sceneggiatore storico Harold Ramis (che nei film originali interpretava Egon Spengler) hanno portato la produzione a virare verso un reboot che potesse riavviare un franchise dallo straordinario potenziale commerciale e creativo svincolandolo dai pur amatissimi film degli anni ’80. Per la regia si è pensato al brillante ma non geniale Paul Feig, che comunque sembrava decisamente più affidabile di un Ivan Reitman (da sempre osteggiato da Amy Pascal, chairwoman Sony fino al 2015) che non azzecca una pellicola da molto, molto tempo.
Certo, metter mano al ‘marchio’ Ghostbusters non è impresa da poco e l’approccio sembra quello già visto in due pellicole con tratti affini e di straordinario successo commerciale come Jurassic World e ancor più Star Wars: The Force Awakens: riavviare un franchise apparentemente concluso da anni con una storia che omaggi il materiale di partenza ma al contempo si distanzi ponendo le basi per una nuova serie di pellicole collegate.
Il problema è che nella pellicola del 1984, nonostante la componente orrorifica e spettacolare, prevaleva di molto il registro della commedia, e l’umorismo è legato a doppio filo alla temperie socioculturale in cui viene concepito. Dato che quindi da quegli anni e da quella New York di acqua sotto i ponti ne è passata decisamente tanta, e che l’impatto innovativo del primo Acchiappafantasmi non è stato eguagliato nemmeno del più modesto sequel dell’89, l’unico approccio per porsi davanti al capitolo che sta arrivando nelle sale era evitare di pesarlo sulla stessa bilancia del film di Reitman e semplicemente chiedersi, a prescindere dal fatto che sia un reboot, che tipo di esperienza fosse capace di regalare in quel paio d’ore davanti allo schermo.
Il film noi l’abbiamo visto e possiamo dirvi che, da questo punto di vista, il risultato è sorprendente: a dispetto dei tantissimi timori e delle considerevoli riserve, il Ghostbusters del 2016 ovviamente non ha la ‘magia’ dell’originale ma si rivela un lavoro ben confezionato e un blockbuster divertente, spettacolare e a tratti spaventoso.
La prima piacevole scoperta è che il team tutto al femminile funziona straordinariamente bene. Con buona pace di molti fan con seri problemi di maschilismo o razzismo per cui “delle donne non possono catturare fantasmi” e l’attrice afroamericana “non è la prima scimmia che fa parte di un team di Acchiappafantasmi” (sì, qualche bestia l’ha scritto davvero), queste quattro interpreti si dimostrano perfettamente capaci di tenere la scena: Melissa McCarthy (Abby Yates) non è certo una scoperta, la già candidata ai Golden Globes e agli Oscar Kristen Wiig (Erin Gilbert) mette in scena tutta la sua esperienza al Saturday Night Live, Kate McKinnon (Jillian Holtzmann) funziona ma deve impersonare un personaggio scritto in modo troppo caricaturale e Leslie Jones (Patty Tolan) ruba semplicemente la scena. Completamento efficacissimo del quartetto è un insospettabilmente divertente Chris Hemsworth: un segretario tanto bello da guadagnarsi un’assunzione immediata quanto totalmente e irreparabilmente stupido.
Nella pellicola non mancano rimandi agli episodi precedenti né cammei del cast originale, ma probabilmente l’insistenza citazionista finisce per essere più una palla al piede (indispensabile, vista l’avversione della fanbase emersa durante la campagna promozionale) che un punto di forza. Un paio di apparizioni ectoplasmatiche riescono a far veramente paura e lo script è per quasi tutta la durata brillante, ritmato e divertente; quel che però si avverte è una sorta di ‘ansia da prestazione’ che porta a un surplus di freddure e a infarcire di battutine ogni spazio vuoto, con il risultato di creare momenti simili al silenzio imbarazzato dopo una di quelle barzellette che non fanno ridere (si pensi ai troppo insistiti giochi di parole con i termini “scioccante”, “elettrizzante” e “folgorante” davanti al fantasma di un detenuto morto sulla sedia elettrica, o a qualche rallentamento di troppo nel taglio del ciak dopo qualche gag non brillantissima). Il doppiaggio in più di un’occasione penalizzata il talento comico delle protagoniste.
Una delle sfide principali era ricreare un linguaggio visivo adatto a un blockbuster del XXI secolo (ricordiamoci che un ampio segmento del pubblico ancora non era nemmeno nato ai tempi per primo film), e in questo senso l’estetica estremamente colorata e fluorescente dei nuovi spettri si dimostra straordinariamente spettacolare e fresca, garantendo probabilmente vendite considerevoli per la linea di giocattoli abbinata al film (come fu nell’84). Discorso a parte per l’iconico Slimer, che con il suo re-design per niente accattivante sembra uscito da un fan movie low budget piuttosto che da una produzione Hollywoodiana.
Quel che nel film non convince è lo sviluppo della storia. Ancora una volta ed efficacemente vengono raccontati il background accademico della ricerca sui fantasmi, lo scetticismo e tutto l’aspetto dell’avvio di una nuova attività commerciale (fondamentale nel tono del film di Reitman), ma l’inconsistenza dell’antagonista, la linearità con cui si arriva allo scontro finale e la rapidità con cui questo viene risolto non sono all’altezza di una grandissima produzione nel 2016. Certamente l’origine del team è il vero cuore della narrazione, ma sarebbe stato meglio sacrificare qualche sketch (soprattutto quelli che hanno per protagonista Holtzmann) e allungare di una decina di minuti la durata per esplorare meglio alcuni punti che altrimenti rimangono del tutto pretestuosi. Inoltre alcuni dialoghi sono ridondanti e spesso di gran lunga più innocui e meno sofisticati di quelli scritti da Aykroyd e Ramis trentadue anni fa.
In conclusione il nuovo Ghostbusters non è un film perfetto ma garantisce risate e intrattenimento ben superiori a quanto inizialmente paventato. Alcuni fan della prim’ora lo odieranno e molti nuovi fan lo ameranno (di certo è un film destinato a dividere), ma l’impressione è che, superata la difficilissima fase del riavvio del franchise e botteghino permettendo, ci siano tutte le premesse per far partire una nuova saga capace di offrire spunti più che interessanti. Senza per forza doverlo mettere sulla stessa bilancia del primo, vero, perfetto Ghostbusters con Bill Murray, Dan Aykroyd, Harold Ramis ed Ernie Hudson. Film come quello si fanno una volta sola.
Ghostbusters: la recensione in anteprima (no spoiler)
Abbiamo visto la chiacchieratissima pellicola che segna il ritorno degli Acchiappafantasmi e siamo pronti a dirvi la nostra senza anticipare nulla sulla trama.