Una qualunque sera della settimana, in un qualunque cinema di una qualunque città italiana. La fila davanti alle casse. Qualcuno va a vedere i supereroi e qualcuno opta per la commedia di turno; in mezzo a loro un gruppetto di amici che sperano di lacrimare dal ridere con i vari Vatican tapes, “L’esorcismo di (qualsiasi nome)” o qualsivoglia poltergeist movie.
Il binomio horror-trash purtroppo è diventata una certezza, un assioma. Il confine tra paura e ridicolo è sempre stato sottilissimo, eppure oggi sembra pendere pericolosamente verso il secondo elemento. Dopo l’estinzione del cinema Western (i due film di Tarantino sono un capitolo a parte) e la quasi totale scomparsa del Musical, rimasto ormai appannaggio di uno numero esiguo di autori (Luhrmann, Marshall e il poco fortunato Les Miserables di Hopper per citarne alcuni), il cinema Horror rischia di essere il prossimo “padre fondatore” del cinema a scomparire.
I “PADRI FONDATORI”
Commedia, Noir, Horror, Western e Musical. Cinque generi che hanno reso grande la macchina hollywoodiana, tra i quali i primi due spadroneggiano ancora oggi. Dal noir venne il thriller e dalla commedia nasce il moderno cinema commerciale. Wilder fu maestro di entrambi: da La fiamma del peccato a Quando la moglie va in vacanza, da A qualcuno piace caldo a Sunset Boulevard. Ci furono poi i musical “Camp” di Busby Barkeley, quelli sul mondo patinato di Gene Kelly (Singin in the rain), e la coppia Fred Aistaire e Ginger Rogers ispirò addirittura un film a Federico Fellini (Ginger e Fred, con Giuletta Masina e Mastroianni). John Ford e Howard Hawks, due leggende Hollywoodiane, lavorarono invece trasversalmente fra noir, western e “screwball comedy”, incastonando il loro nome fra i più grandi autori del cinema “classico”.
Fra questi padri fondatori, ve ne fu uno che si permise, addirittura, di innovare il cinema mondiale. Hitchcock pose la prima pietra del cinema della “suspence”, quello che oggi viene chiamato “horror psicologico”. La paura moderna comincia qui, nel 1960, con Psycho. Il celebre regista mise da parte i “freaks” degli anni ‘30, l’età dei Frankenstein ( 1931, James Whale), Dracula ( 1931, Tod Browning, l’inventore dei “Freaks”), La mummia e L’uomo invisibile; e dal momento che i fasti del cinema horror-espressionista tedesco erano ormai lontani (M e Il gabinetto del dottor Caligari risalivano a decenni prima) capì che il genere necessitava di nuova linfa, di un nuovo strumento di Spavento. Fu così che riuscì a dire qualcosa di nuovo, dapprima con la suspence e il mistero di La donna che visse due volte (Vertigo) e poi con la paura vera e propria di Psycho, al quale succedette, tre anni dopo, un’altra gemma del regista inglese: Gli Uccelli. Quasi in contemporanea un giovanissimo regista con gli occhialini – George Romero – realizzava La notte dei morti viventi, una pellicola pioneristica che raccontava, tramite una semplice divisione in due schiere, la situazione complicata degli stati uniti. Due “visionari” erano riusciti, grazie al successo di critica e alla popolarità fra gli spettatori, a portare il cinema horror fuori dal mondo gotico-fiabesco nel quale era imprigionato, rendendolo un genere commerciale, aperto a tutti e, soprattutto, vario.
LA VARIETÀ
Polanski diresse tra gli anni ‘60 e ‘70 la sua “trilogia dell’appartamento”: Repulsion, Rosemary’s baby e L’inquilino del terzo piano, affermandosi a livello internazionale come nuovo talento. Nei film del polacco, la paura si esprimeva attraverso la possessione, l’esoterismo, il mistero e il terrore “domestico”. Niente più castelli fatiscenti avvolti in una coltre di nubi ma condomini, una coppia normale in una nuova casa, una donna che odia gli uomini e la paranoia di un burocrate parigino. Friedkin, che regista di horror non era, diede inizio al genere “demoniaco” con L’esorcista, dal romanzo di Peter Blatty.
Poi ancora, in casa nostra, negli anni ‘70, Dario Argento firmò quelli che Refn chiama “horror della cocaina”, fatti di luci e suoni, di percezioni, di paura dei “sensi” e non della mente; poi ancora Mario Bava, sperimentatore in debito con Hitchcock e Lucio Fulci, autore degli Zombi.
L’horror si evolveva rapidamente, incessantemente, scoprendo continuamente nuovi autori e nuovi generei; gli anni ‘80 videro l’affermazione di Cronenberg, con Scanners, Videodrome e La mosca il regista canadese esplorava, tramite la mutazione, il mondo della paura visiva e mentale, grazie, per esempio, all’orribile ibrido de La mosca.
Il cinema di Lynch e Raimi, invece, resta troppo personale per essere incluso in un genere comune, anche se indubbiamente Eraserhead e La casa, sono pietre miliari del genere.
COSA RESTA DELL’HORROR?
John Carpenter non ce lo siamo scordato. Nonostante sia in cantiere l’ennesimo film della saga di Michael Myers (Halloween), perchè i soldi servono anche a lui, il regista di 1997: fuga da new york , parlando ai microfoni di “WTF with Marc Maron”, ha sparato a zero sull’horror contemporaneo, portando come prova un famigerato quanto amatissimo prodotto seriale come The Walking Dead. Che fosse stato ispirato dagli zombie di Romero lo sapevamo; che fosse nulla di nuovo, lo sapevamo ancora di più. Carpenter predica bene e razzola male (i sequel di Halloween non gli ha diretti lui, ma i soldi dei diritti li intasca lo stesso), tuttavia aiuta a fare il punto sulla situazione dell’horror contemporaneo. “John” ha parlato della necessità di reboot per il genere, di ripartire da zero, come se nulla fosse successo. Sì, ma come?
Che cosa è oggi la paura? Come mai Hollywood non riesce ad uscire dai “cheap poltergeist movies” di cui parla Carpenter? L’horror è sopravvissuto fino ad oggi grazie all’evoluzione, alla varietà, alla capacità di adattarsi al mutare della cultura e della tecnologia. La notte dei morti viventi è, nel 2016, un classico da custodire nelle cineteche che non impaurisce più. The walking dead come American horror story, sono prodotti seriali, che come tali devono ragionare in modo diverso rispetto ad un singolo prodotto destinato al cinema: diverse trame, diverse puntate, diversi approfondimenti legati ai personaggi e, di conseguenza, rarefazione della “paura”.
Gli horrorofili, come anche i “neofiti”, fanno sempre più fatica a trovare film di qualità, anche se ogni tanto qualche eccezione c’è. Negli anni ’80 Tim Burton aveva inventato un linguaggio gotico e ironico (ormai morto e sepolto) che partiva dalle atmosfere horror per arrivare altrove, mentre il cinema pur interessantissimo di Guillermo Del Toro è sempre troppo personale per esser ascritto in alcun genere. Qualche anno fa ci conquistò lo svedese Lasciami entrare del talentuoso Tomas Alfredson e nel 2014 abbiamo assistito con ben più tiepido interesse all’allegoria psicologica di Babadook e alla progressiva corruzione fisica e morale di The Clown. Arrivando fino ad oggi si pensi invece al meraviglioso The Witch, datato 2015 ma in uscita solo ora nelle sale italiane, o alla mano sicura di un Fede Alvarez (A man in the dark) che in futuro potrebbe riservarci qualche sorpresa. Ma si pensi, soprattutto, a It follows (qui la nostra recensione), anche questo distribuito dopo due anni dall’uscita, senza grossa pubblicità, in un periodo poco proficuo come quello estivo. Eppure è il quello il prodotto di cui parla Carpenter; “il nuovo inizio”. Un film senza gore, senza sangue in eccesso, “ibrido” fra un film horror “puro” e un racconto simbolico-allegorico delle malattie sessuali. Niente poltergeist, niente zombie e niente più gore gratuito. Il cinema horror del futuro, potrebbe, incrociamo le dita, essere quello di It follows o del nostro amatissimo The Neon Demon (recensito qui) di NWR: pellicole “spurie”, a cavallo fra diversi generi e legate alla personalità del singolo autore. Niente più paura oggettiva ma soggettiva; la fine dell’era dell’horror puro a favore di una commistione di generi, dove può funzionare anche la “commedia horror” alla Per favore non mordermi sul collo.
Sappiamo che il cinema è Darwinista: i generi che vendono sopravvivono e gli altri periscono. Il western è scomparso, mentre il musical potrebbe aver trovato una nuova e promettente – ma non ‘fedelissima’ – voce con il Damien Chazelle di Whiplash, che ha appena concluso il musical che aprirà il festival del cinema di Venezia ( La la land). Se il trend positivo di cui per ora si intravede solo qualche segnale proseguirà, allora la paura non sarà più la finalità ma il mezzo, lo sguardo di cui parlava Godard, necessario per arrivare ad un messaggio; che sia il mondo glam delle modelle o un quartiere periferico americano. Quando non ci saranno più gli infiniti sequel di Saw e Halloween e i film capaci di riportare il genere horror a una dignità cinematografica troveranno una collocazione degna durante l’anno, relegando i vari Vatican tapes e Exorcism of alla distribuzione estiva e alla derisione, potremmo davvero parlare di rinascita. Ma per ora abbiamo paura possa non essere così.