(La Writers Guild Italia nasce con l’intento di valorizzare la professione degli sceneggiatori. La sezione “Scritto Da”, sotto l’egida di “Written By”, la prestigiosa rivista della WGAw, tenta di supplire alla grande disattenzione con cui gli scrittori di cinema, tv, e web vengono penalizzati dagli organi di informazione.)
Alessandro Aronadio ha scritto e diretto Orecchie. Il film è stato selezionato e sviluppato all’interno della quarta edizione di Biennale College ed è stato proiettato alla 73a Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia.
Ciao Alessandro, anzitutto un breve pitch del tuo film.
È la storia di un uomo che si sveglia una mattina con un fastidioso fischio alle orecchie. Un biglietto sul frigo scritto dalla fidanzata lo informa della morte del suo amico Luigi, e del funerale che si svolgerà nel tardo pomeriggio. Il problema è che lui proprio non si ricorda chi sia, ‘sto benedetto Luigi. Inizia così per lui una tragicomica giornata, tra visite mediche, incontri fortuiti e appuntamenti di lavoro. Una di quelle giornate che ti cambiano per sempre.
Com’è nata la storia di Orecchie? Qualche volta lo senti anche tu quel fischio?
Orecchie è nato da uno spunto discusso insieme ad Astutillo Smeriglia: una persona che si sveglia con un fischio alle orecchie, appunto. Successivamente l’evoluzione del progetto, dopo la prima selezione alla Biennale College, mi ha portato a scrivere la sceneggiatura da solo, e in tempi abbastanza brevi.
Credo che questo senso di disagio, di fastidio, di “fischio alle orecchie” appunto, sia un sentimento che tutti proviamo, almeno ogni tanto: semplicemente, il mondo sta andando in una direzione che non ci piace, in cui non ci riconosciamo, ed ogni tanto ci sentiamo gli unici ad accorgercene. Accettare che “la follia sia la nuova normalità”, come si dice a un certo punto nel film, è un processo doloroso, ma forse indispensabile.
Perché il bianco e nero?
Guarda, ho sempre pensato che “Orecchie” sarebbe stato un film in bianco e nero, tanto che, con un po’ di ironia, la prima pagina del copione recitava “sceneggiatura per un film rigorosamente in bianco e nero”.
Il b/n è spietato, è come se setacciando le immagini per liberarle dai colori si raggiungesse l’essenza dei volti, dei luoghi, delle parole. In Orecchie questa scelta fotografica, a mio parere, aggiunge più verità a una commedia che di per sé può essere erroneamente letta come surreale o allegorica, mentre per me è profondamente radicata nella realtà in cui viviamo. Come diceva Samuel Fuller ne Lo stato delle cose di Wenders, “Life is in color, but black and white is more realistic”.
Che cos’è e come funziona Biennale College? Raccontaci la tua esperienza.
Con la produttrice Costanza Coldagelli abbiamo fatto domanda per la selezione, mandando una quantità di materiale non indifferente (tra quello che ricordo: un trattamento, le note di regia, un’ipotesi di cast, un mood board, una presentazione video del regista, una bozza di budget). Avendo superato la prima selezione (mi hanno detto che in quest’edizione le domande, provenienti da tutto il mondo, sono state 350), siamo stati tra i 12 team (produttore+regista) invitati a un workshop di 10 giorni, in cui abbiamo discusso del nostro progetto con sceneggiatori e produttori internazionali. Alla fine del workshop, ho avuto circa un mese per scrivere una prima stesura della sceneggiatura, sulla base della quale sono stati scelti quattro progetti (un indiano, un venezuelano, un argentino e il mio). Ho avuto la notizia a fine novembre. Da quel momento ho avuto circa 8 mesi per ritoccare la sceneggiatura, fare il casting, preparare, girare e postprodurre Orecchie. Un lasso di tempo ideale per farti venire un esaurimento nervoso.
Che ruolo hanno avuto Astutillo Smeriglia (autore della divertente webserie animata Preti) e Valerio Cilio rispettivamente nella stesura del soggetto e nella collaborazione alla sceneggiatura?
Come ti dicevo, il soggetto di Orecchie è nato da uno spunto scritto con Astutillo. Avevamo anche provato a scrivere insieme, ma poi motivi logistici (lui vive a Bologna) e impegni di Astutillo ci hanno fatto desistere. Così mi sono ritrovato per la prima volta a scrivere da solo, un’esperienza che in questi anni avevo sempre cercato di evitare. E a ragione. Non c’è niente di più angoscioso per uno sceneggiatore che dover affrontare da solo i classici stalli che puntualmente arrivano, prima o poi, in fase di scrittura. È un attimo che la ridente isola di San Servolo (dove si svolge il workshop di scrittura) si trasforma in una kafkiana Alcatraz da cui sogni di fuggire a nuoto.
Per l’ultima stesura prima delle riprese è entrato in gioco Valerio Cilio, con cui abbiamo lavorato sulla struttura della storia (il film è una sorta di on the road a piedi) e discusso su alcune idee che avevo. Insomma, avevo bisogno di qualcuno che fosse lì a contraddirmi, e Valerio, con il suo acume e la sua disponibilità, è stato la persona giusta al momento giusto. Spero che prima o poi scriveremo qualche altra cosa insieme.
Quando hai scritto il film avevi già in mente chi lo avrebbe interpretato? Hai lavorato sui personaggi con questa consapevolezza?
No, perché avendo praticamente un non-budget non sapevo che tipo di cast potevamo permetterci. Poi in fase di preparazione, abbiamo assistito con piacere ad una sorta di passaparola tra attori e agenzie. Si è creato un bell’entusiasmo attorno al progetto, che ci ha permesso alla fine di avere un cast inimmaginabile all’inizio della preparazione. Alla fine, direi che ancora più che un low budget, Orecchie è un love budget. Tutti gli attori sono venuti – gratuitamente, bisogna dirlo – perché si sono innamorati di questo piccolo film. Perché alla fine è un piccolo film girato in tre settimane, ricordiamolo.
Pensi che scriverai sempre i film che dirigi? C’è un equilibrio fra la tua anima di sceneggiatore e quella di regista o una ha il sopravvento sull’altra?
Guarda, io sarei felice di ricevere una sceneggiatura pronta per essere girata. Non credo molto nella concezione europea (ancora figlia della vecchia “politica degli autori”) secondo cui il regista debba sempre essere coautore della sceneggiatura dei suoi film. Credo invece nell’idea, forse un po’ più americana (e “industriale”), che regista e sceneggiatore semplicemente facciano e debbano fare due mestieri diversi. È chiaro che dovrà esserci collaborazione tra loro, ed è altrettanto chiaro che ci sarà una fase in cui il regista entrerà con la sua visione, ma questo dovrebbe avvenire in un secondo tempo.
Scrivere è per il 95% noia e frustrazione e per il 5% una strana forma di esaltazione, che ti prende per brevissimi momenti, e quasi mai a ragione. In più, se sai che stai scrivendo quello che sarà il tuo prossimo film, sei cosciente che tutta quella fase, complessa e faticosa, è solo l’inizio, e che te ne aspetta una, mille volte più complessa e faticosa, che sarà la vera e propria realizzazione del film. Semplicemente, risparmiarsi la prima ti permetterebbe di arrivare più in forma (e forse più lucido) al circo che ti aspetta dopo.
Per quanto riguarda l’anima da regista e da sceneggiatore, sono due anime ben distinte. Per questo amo molto scrivere sceneggiature per altri registi (Alessandro ha scritto recentemente Che vuoi che sia, il nuovo film di Edoardo Leo e Clazze Z di Guido Chiesa. N.d.R.). Entrare nella visione di un altro collega per scrivere il suo film credo sia una grande ginnastica per il cervello e per lo sguardo.
Orecchie è stato proiettato al Festival del Cinema di Venezia. Cosa significa per te? Qual è la tua opinione sul Festival? Ci sei già stato da spettatore?
Beh, ovviamente è un onore, e anche una responsabilità. Venezia, soprattutto negli ultimi anni, ha riacquisito la dimensione internazionale che merita. Ci sono già stato da spettatore, e mi sono divertito molto.
Dopo la laurea in psicologia (tesi sul Doppio nel cinema di Cronenberg) ti sei specializzato in Regia alla Los Angeles Film School. Perché l’Italia fatica a costruire una vera industria dell’audiovisivo? Cosa ci manca?
Banalmente, manca il movimento di denaro che lo faccia diventare una vera industria. Negli Stati Uniti il cinema, per mole di investimenti e guadagni, è una delle primissime industrie del Paese. Fino a quando non si creeranno le condizioni per produrre reale ricchezza con l’audiovisivo, il cinema continuerà ad essere visto come un hobby un po’ snob, economicamente irrilevante.
Orecchie è la tua opera seconda di lungometraggio. Quale consiglio daresti ai giovani sceneggiatori per esordire nel nostro Paese?
Non abbiate paura di rompere i coglioni.