La seziona Venezia Classici, quella con cui la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ripropone i grandi capolavori della storia del cinema in versione restaurata, meriterebbe non meno attenzione di quella solitamente riservata alle pellicole in competizione e fuori concorso. Ne è la dimostrazione la proiezione di Stalker, prevista per oggi in Sala Volpi.
“Tutto in fin dei conti ha un senso, un senso… e una ragione.” Non ci sarà oggettività in queste parole. A detta di chi scrive, Stalker è semplicemente uno dei film fondamentali dell’intera storia del cinema, una di quelle opere d’arte da portare sulla famosa isola deserta, una delle vette del genio umano da spedire dentro una sonda in mezzo alla spazio per far vedere agli alieni di cosa siamo capaci. Certo è che questi alieni ci prenderebbero forse troppo sul serio, credendo che il comune homo sapiens possegga le capacità di Andrej Arsen’evič Tarkovskij, che apparteneva alla nostra specie ma ne è stato un elemento geniale, unico, non paragonabile ai più. Stalker è l’odissea dell’umano sentire, è il viaggio di Ulisse all’interno di un mondo complesso come una rete neurale, come un tuffo in uno scritto di Ginsberg mescolato alla poetica della grande madre Russia. Dove tutto cambia di continuo forse nulla realmente cambia, dove lo scenario è il reale protagonista della storia, dove l’uomo è rilegato a comparsa, ad esploratore senza bussola in balia della “Zona” che è l’espressione alta, unica, di stordente potenza di una natura che tutto sovrasta senza soluzione di continuità. Tre personaggi come lati di un triangolo scaleno composto da ragione, cuore e mente, in cui la somma delle parti è sempre diversa modificando l’ordine degli addendi. L’uomo è un atomo, un elemento di un substrato infinito giunto da chissà dove a ricordarci che il mondo è esso stesso un essere vivente, è tempo e spazio che si fanno vita. Il tema è il viaggio, è l’addentrarsi dove non si dovrebbe, è la naturale attitudine dell’uomo a scoprire violando ciò che non si dovrebbe neanche avvicinare. Lo Stalker è la guida, il link, il filo sottile che unisce la Zona all’umanità, è lo sciamano del contesto, il navigatore di un luogo che non ha punti cardinali. Ciò che rimane è il sentire che lega gli uomini, la comprensione nell’apparente diversità, la coesione nella divisione ideologica. Perché la debolezza è la più grande forza, l’adattamento costante, perpetuo è l’unica chiave di lettura e salvezza all’interno della Zona. In un mondo in cui i blocchi si contrappongono (parliamo del 1979 in piena Guerra Fredda) esiste un posto in cui ogni essere umano può far avverare i suoi desideri, può tramutare le sue necessità in realtà. Ma in questo luogo la via più breve non è mai la migliore, la strada dritta non è quella da percorrere. La salvezza giace nella bellezza, nello splendore dell’amore che tutto perdona e accetta, nelle parole che come pennelli magici disegnano tele simili a sogni. Perdetevi in Stalker e ritrovatevi in un incanto. “Amo gli occhi tuoi, amica mia | il loro gioco splendido di fiamme | quando li alzi all’improvviso | e come un fulmine celeste | guardi veloce tutt’intorno.| Ma c’è un fascino più forte | gli occhi tuoi rivolti in basso | negli attimi di un bacio appassionato | e fra le ciglia semichiuse del desiderio | il cupo e fosco fuoco.”
Venezia 73: la recensione di Stalker di Tarkovskij
Per la sezione Venezia Classici viene presentata la versione restaurata del capolavoro del maestro russo Andrej Tarkovskij.