Se non riesci a sentire voci e suoni di chi ti sta intorno, questo non necessariamente può essere un male. Cavandocela con una battuta, si può riassumere grossolanamente così Orecchie, il secondo lungometraggio di Alessandro Aronadio proiettato alla 73° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nella sezione Biennale College.
Un uomo (Daniele Parisi) si alza una mattina qualunque con un fastidioso fischio nelle orecchie. Nel frigorifero di casa trova un post-it della compagna (Silvia D’Amico): “È morto il tuo amico Luigi. Ps Mi sono presa la macchina”. Il primo problema è che lui non ricorda minimamente che sia questo Luigi. Inizia così una giornata qualunque in una Roma qualunque di un supplente di Filosofia in un liceo che, tra un litigio con la voce metallica e incomprensibile di un bancomat, un siparietto con uno studente rapper e l’incontro casuale con sua madre (Pamela Villoresi) sorpresa in un momento di effusioni adolescenziali con il suo nuovo compagno, trova anche il tempo di andare dal dottore per cercare di risolvere il fastidio alle orecchie. Ma anche qui le cose non vanno meglio, il medico dice che lui non ha niente e lo manda da un suo collega per una ecografia all’addome. Per quanto scettico sulla correlazione tra orecchio e addome il supplente ci va. Nonostante ciò non vuole mancare al colloquio con la direttrice di un famoso giornale (Piera Degli Esposti) che gli propone di collaborare con la testata scrivendo la rubrica “L’angolo della filosofia” ritagliata nel paginone delle “grandi storie dei volti noti”, ovvero i lati B di veline, letterine e starlette. Il fatto nuovo, e positivo, è che riesce a trovare la salma di Luigi che è in una bara nella chiesa dove si svolgeranno i funerali. L’incontro con il prete che officerà il rito funebre (Rocco Papaleo) svela l’equivoco. Lui, il supplente, non conosce Luigi ma ne pronuncerà l’orazione funebre.
Orecchie è un piccolo grande film. Un film corale dove gli attori hanno una caratterizzazione definita, visibile, riconoscibile e, grazie sì alla sceneggiatura ma anche alle loro interpretazioni, i personaggi sono complementari e di supporto gli uni con gli altri. È un film dove non mancano citazioni a maestri dell’arte dei murales e del design, che rimanda a segmenti cinematografici di Nanni Moretti e a Il fischio al naso, il film di Ugo Tognazzi del 1967. In realtà il linguaggio di Aronadio segue un percorso proprio ed originale rispetto alla filmografia morettina e si distingue dalla pellicola di Tognazzi essendo quella metafora di un mondo, mentre Orecchie è la rappresentazione del mondo qui e ora.
Il lavoro di Aronadio, interamente in bianco e nero e in formato 16:9, si caratterizza inoltre per portare qualcosa di nuovo nel panorama attuale della commedia italiana. Il film si presta a più livelli di lettura e questa è la sua grande forza. Ci sono momenti non esattamente “inediti” nel cinema ma anche altrettanti che fanno di Orecchie un unicum che irretisce. Indimenticabili i selfie giovanilistici di sua madre, il lavoro del suo compagno che prima era un artista e ora un performer che assembla mobili Ikea senza leggere le istruzioni e facendosi guidare dall’istinto, ma anche la caratterizzazione del commesso al banco del fast food e ancora il prete che benedice una macchia di muffa su una parte dove gli altri vedono la Madonna solo per regalargli una vita migliore.
La Roma di Aronadio non è quella de La grande bellezza di Sorrentino. Questa è una Roma dove non c’è maestosità, sacralità o austerità. Qui c’è una Roma quotidiana, ordinaria e vissuta ma non per questo la macchina da presa del regista la rende meno suggestiva. In Orecchie la borghesia intellettuale romana (Milena Vilotic) vive negli attici ma senza l’apparizione delle cicogne, qui la ricerca di dare un senso alla vita si è fermata, quasi arresa perché credere che il mondo sia stupido non rende più intelligenti, ma più soli.
I maestri del cinema consigliano di stare sempre particolarmente attenti a quello che accade nei primi dieci minuti, che molto spesso sono la chiave del film. Ed è così che la mente va a una delle sequenze iniziali, quando due suore che fanno evangelizzazione porta a porta suonano in casa del protagonista e gli domandano a bruciapelo: “Secondo lei c’è ancora speranza per il mondo?”. Risposta: No.
Chi ha orecchie per intendere, intenda…
Venezia 73: la recensione di Orecchie
Alessandro Aronadio scrive e dirige Orecchie, presentato nella sezione Biennale College della Mostra di Venezia. Un'opera decisamente interessante.