La 73° edizione della Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ha dato molto spazio al documentario, ma attenzione a pensare che quello che più lascerà il segno sarà Voyage of Time di Malick: ci sono due autori italiani che hanno l’ambizione di contendergli il Leone d’Oro con il loro Spira Mirabilis.
SPIRA MIRABILIS E LA SPIRALE DELL’ETERNITÀ
Le aspettative erano altissime. Il lavoro degli italiani Massimo D’Anolfi e Martina Parenti nasce con l’intento di indagare il tema dell’immortalità, declinato in varianti parallele e simmetriche, come suggerirebbe la proporzione aurea che dà spunto al titolo. Un’attrice che legge L’Immortale di Borges, uno scienziato che tra un karaoke e l’altro studia una medusa immortale (la turritopsis dorhnii), dei restauratori che salvaguardano il duomo di Milano, gli inventori dell’hang drum e degli sciamani indiani che dicono cose da sciamani indiani.
Il soggetto potenzialmente sarebbe straordinariamente interessante e se solo fossimo immortali potremmo spendere l’eternità a cercare di giustificare l’associazione piuttosto forzata tra le storie proposte nella pellicola. Sfortunatamente un giorno moriremo, ma fortunatamente possiamo avere una risposta parziale hic et nunc guardando alla filmografia dei registi e scoprendo che parte delle idee è riciclata direttamente dai lavori precedenti.
SPIRA MIRABILIS: TEMPI LETARGICI PER UNA NARRAZIONE FORZATA ED ERRATICA
Il film è un mondo a parte popolato di significati profondissimi – supponiamo –, nei quali però anche lo spettatore più intellettualmente compiaciuto affonda inerme senza che gli venga fornita alcuna mappa di quell’universo narrativo (ammesso che gli autori ne abbiano in mente una). Al massimo c’è qualche indizio a suggerire che il film possa essere ambientato nella Terra di Mezzo: infatti gli Ent, i millenari alberi parlanti di tolkieniana memoria che impiegavano giornate solo per salutarsi, potrebbero essere le uniche creature viventi capaci di sostenere quelle carrellate estenuantemente lente che caratterizzano inquadrature interminabili di soggetti immobili e di modesto interesse, col sottofondo di rumori sgradevoli.
Sarà la suggestione dell’argomento trattato, ma guardando Spira Mirabilis sembra proprio che il tempo non passi mai. Mai. Fortunatamente a scandirlo ci pensano invece gli spettatori pur navigati della critica e dell’industry, che durante la prima proiezione riservata alla stampa iniziano presto a lasciare la sala a un ritmo di 10 persone ogni 5 minuti (sorvoliamo sulla loro professionalità).
REGISTI ALLO SPECCHIO
Spira Mirabilis ha il merito di proporre un concept del fascino innegabile, eppure il film non decolla mai, la connessioni sembrano tirate per i capelli, non tutti i contributi sono ugualmente interessanti e la sensazione che prevale – forse non volontaria – è quella di un eccessivo autocompiacimento degli autori. Un cinema che vuole a tutti i costi risultare ispirato, meditativo, trascendentale, ma che in questa continua ricerca dell’esercizio di stile perde completamente per strada la connessione con il pubblico – che non va compiaciuto ma non va mai nemmeno snobbato, perché non esiste messaggio senza destinatari.
Nonostante l’assenza di una prospettiva narrativa, allo spettatore è infatti presto chiaro che la spirale del titolo è in tutto e per tutto simile a quella di un ipnotista intento a ridurci allo stato catatonico. Alberto Barbera ha realizzato un’edizione del festival semplicemente straordinaria, avendo il coraggio di proporre un’arte cinematografica che spazia dalla spettacolarità (Arrival) all’autorialità più spinta (Les Beaux Jours d’Aranjuez), dalla commedia (El Ciudadano Ilustre) al musical (La La Land), dal torture-western (Brimstone) all’altissima televisione (The Young Pope). Ma la perfezione non è di questo mondo, e per quanto potrà rivelarsi bello il documentario sul tempo di Malick, nessuno ci ridarà mai il tempo passato durante la visione di Spira Mirabilis ad aspettare che il racconto filmico si risolvesse in qualcosa di mirabile.
Essendo la release nazionale del film di solo 20 sale, c’è la buona probabilità che non vi imbatterete in esso. Ma come al solito vi consigliamo di recarvi in sala, pagare il biglietto, aiutare il cinema italiano e verificare se il film soddisfa o meno le vostre aspettative. Martina Parenti e Massimo D’Anolfi hanno una visione radicale del proprio cinema e quantomeno riconosciamo loro il merito di proporla senza compromessi, con i rischi che ne conseguono.