C’è un filo conduttore tra i film italiani presentati alla 73^ Mostra del Cinema di Venezia: si nota infatti come tre di questi lungometraggi abbiano due temi in comune tra loro, ovvero il “viaggio” e l’adolescenza.
Il primo è L’estate addosso di Gabriele Muccino, con protagonisti dei diciottenni che partono per gli States; il secondo è Piuma di Roan Johnson (anche qui abbiamo protagonisti diciottenni in procinto di partire che, per cause di forza maggiore, sono costretti a disdire); infine, ultimo titolo italiano presentato al Festival, abbiamo il film Questi giorni, diretto da Giuseppe Piccioni.
Caterina (Marta Gastini) decide di trasferirsi a Belgrado in cerca di fortuna, facendosi accompagnare dalle sue tre amiche Liliana (Maria Roveran), Anna (Caterina Le Caselle) e Angela (Laura Adriani). Le tre ragazze portano con sé i loro problemi personali: Liliana intraprende il viaggio come l’ultimo della sua vita, a causa di un cancro diagnosticato da poco, ed ha una forte attrazione verso un professore universitario (interpretato da Filippo Timi) con cui dovrebbe discutere la tesi; Anna si ritrova al terzo mese di gravidanza, con un fidanzato (Filippo) inadeguato; Angela, last but not least, non sa come affrontare i problemi con il suo attuale boyfriend. Il viaggio a Belgrado viene quindi visto come una sorta di liberazione per le nostre quattro protagoniste.
Il soggetto già di suo non è particolarmente originale e neanche particolarmente avvincente, anche se si poteva ricavare un’interessante analisi psicologica dei personaggi, considerando il tema predominante dell’evasione post-adolescenziale; il problema è che questa analisi praticamente non esiste, con una trama praticamente sterile, se non addirittura inesistente (in pratica non succede niente dall’inizio alla fine del film).
Lo sviluppo dei personaggi è a dir poco imbarazzante, resi insopportabili a tal punto che lo spettatore non solo non prova empatia nei loro confronti ma arriva ad augurare loro ogni genere di male; anche la costruzione delle scene non è migliore, con situazioni comiche che definirle tale è un’offesa all’intelligenza e parti drammatiche (telefonatissime) che possono persino irritare il pubblico (senza contare la presenza di alcuni voiceover pseudo-filosofici da diario di una ragazza di terza media).
L’interpretazione degli attori è veramente di livello scarso: per riuscire a comprenderle appieno alcune battute eravamo costretti a leggere il sottotitolo in inglese, con una delle attrici che addirittura recitava meglio nella lingua di Shakespeare che in quella di Dante. Sempre riguardo la questione della lingua, in alcune scene alcune scelte sono parecchio discutibili come per esempio quelle legate al character maschile serbo, che parla ad una delle protagoniste con un buon italiano ma la sua interlocutrice gli risponde in inglese (si vede che usare la propria lingua madre è troppo mainstream).
La regia di Piccioni, come in alcune sue produzioni passate, è a tratti tutt’altro che convincente: i VoiceOver sembrano forzati, la direzione degli attori appare poco chiara (con Margherita Buy e Sergio Rubini che tengono in piedi la baracca solo grazie alla loro esperienza), e il tutto è accompagnato da una colonna sonora mediocre; inoltre, sono presenti scelti abbastanza discutibili (non si capisce per quale motivo Anna appaia in bikini con la pancia totalmente piatta al terzo mese di gravidanza, mistero).
Questi giorni dimostra come per l’ennesima volta il cinema italiano ne esca veramente a pezzi rispetto a quello internazionale: il sospetto è che sia stato portato in concorso per il solo motivo di essere italiano, non per meriti oggettivi (prevediamo un grosso flop quando verrà distribuito al cinema) e sicuramente, dopo un biennio positivo per il cinema del Belpaese (Non essere cattivo, Suburra, Lo chiamavano Jeeg Robot, Perfetti Sconosciuti), questa edizione della Mostra è un grosso passo indietro per le nostre produzioni.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Questi giorni
L'ultimo film italiano a Venezia, diretto da Giuseppe Piccioni, è in assoluto il peggiore di quelli che concorrono per il Leone d'Oro.