In comune con tutti gli altri film Dark Night ha un inizio e una fine. Per il resto dimenticate le pellicole convenzionali e se pensate di non poter reggere ottanta minuti di una storia potente ma raccontata come una non-storia, allora pensateci tre volte prima di acquistare il biglietto. Per quanto ci riguarda è forse il film più intrigante e innovativo visto fino ad oggi nella sezione Orizzonti della 73a Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Ma andiamo con ordine e iniziamo dal fatto di cronaca da cui il film è liberamente tratto.
A mezzanotte e trenta minuti del 20 luglio 2012 ad Aurora, nel Colorado, uno studente americano entra nel cinema della multisala “Century 16 Movie Theater” dove stavano proiettando The Dark Knight Rises (l’assonanza del titolo Dark Night è puramente voluta) di Christopher Nolan e indossando una maschera antigas lanciò due lacrimogeni in sala e aprì il fuoco sugli spettatori provocando dodici vittime, perlopiù molto giovani, e settanta feriti. James Holmes, l’autore della strage, preparò con estrema cura il suo macabro attacco, prima entrando e prendendo posto in prima fila, poi uscendo da una porta d’emergenza per andare a recuperare le armi che aveva lasciato in macchina, quindi rientrando dalla stessa porta che aveva lasciato socchiusa. Gran parte degli spettatori indossavano mascherine di Batman ed altri gadget del film consegnati in biglietteria e molti di loro alla vista del fumo dei lacrimogeni in un primo momento pensarono ad un effetto speciale previsto durante la proiezione. Secondo testimoni anche l’omicida, che uccideva le persone al grido di “I’m Joker, I’m Joker”, indossava un costume di Batman. Il grande schermo si è ispirato a migliaia di fatti di cronaca drammatici e sconcertanti come questo. Il “massacro di Aurora” è uno di quei fatti di cronaca (e quindi di film) che si uscirebbe dalla sala carichi, appesantiti e indignati o magari anche preoccupati perché in quel cinema ci sarebbe potuto stare chiunque e il pensiero che solo la casualità possa decidere il bersaglio di una follia così subdola e raccapricciante è spaventoso. Una storia adrenalinica ma anche catartica, una di quelle storie capaci di creare un tranfert totale tra schermo e spettatore.
Bene, di tutto ciò nel film di Tim Sutton non c’è nulla. Non ci sono effetti speciali né spargimenti di sangue. La violenza di Dark Night è quella della vita monotona, piatta e periferica della provincia americana, dove è più facile procurarsi un’arma che avere un sussulto, uno scatto, una direzione. La pellicola di Sutton è l’attesa di un evento catastrofico raccontato attraverso le azioni compiute da una manciata di personaggi il giorno prima della strage. C’è il ragazzo che passa le ore a tingersi i capelli di arancione, a giocare in casa con un serpente o passeggiare con un fucile, un’attricetta che trascorre gran parte del tempo davanti allo specchio facendosi selfie, ci sono due coniugi in crisi, la commessa dell’outlet, e ancora uno che porta a spasso il cane e giura vendetta contro la ex ragazza, un altro giovane che non si sa cosa abbia fatto ma che si intuisce abbia già avuto problemi con la giustizia oppure il reduce dell’Afghanistan che fa autocoscienza insieme ad altri che hanno smarrito il senso di tutto. Il regista americano ci porta nella cronaca senza fare cronaca ma componendo un mosaico di desolazione umana. I personaggi di Dark Night non si conoscono tra loro e ognuno potrebbe essere il killer, sicuramente sono tutte mine vaganti. Il richiamo al cinema di Gus Van Sant, specialmente al suo Elephant, è del tutto evidente ma Sutton fa la sua strada senza avere riferimenti o complessi d’inferiorità e procede spedito, coerente, originale. Dal punto di vista formale Dark Night ci regala una precisione millimetrica che rasenta la perfezione e se il cinema è un piacere per gli occhi, il suo film è una vera e propria goduria. La fotografia di Hélène Louvart è davvero superba e le immagini sono supportate dalla colonna sonora di Maica Armata che sottolinea ogni passaggio in maniera così suggestiva da trascinare lo spettatore dove vuole lei, paradossalmente anche fuori dal film. Nel crescendo di tensione finale le note di You are my sunshine in versione rallentata sono una scelta brillante.
Certo, in un racconto non-racconto, dove tutto è volutamente rappresentato in superficie in attesa della deflagrazione finale, che si avverte distintamente ma che non si vede, soltanto usare la parola “ritmo” è quantomeno azzardato. La lentezza a volte è davvero al limite dell’estenuante e, occorre infine ammetterlo, non tutti riusciranno ad apprezzare il lavoro. Se non si può certo dire che Sutton sia andato incontro alle aspettative del pubblico, è vero però che le immagini di Dark Night si depositeranno nella vostra mente e nei vostri sensi, a conferma del fatto che quella del regista è un’operazione riuscita.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Dark Night
Tim Sutton, in Orizzonti, presenta un lento ma interessantissimo racconto sulla mass shooting alla première di The Dark Knight.