Prendete due sceneggiatori come Steven Zaillian (premio Oscar per Schindler’s List) e Richard Price (storico collaboratore di Scorsese e Spike Lee), accostateli un direttore della fotografia come Robert Elswit (Oscar per Il Petroliere) e aggiungete un’interpretazione indelebile come quella di John Turturro. Il risultato è The Night Of, la serie del momento, quella che al di là dell’oceano ha fatto impazzire critica e pubblico per l’impressionante qualità cinematografica di ogni singolo episodio e per la capacità di raccontare in modo ambiguo, stratificato e multiforme un’umanità rassegnata e decadente che brulica nel sistema di giustizia americano.
Fra Wire e Making a Murderer
Ispirata alla serie britannica Criminal Justice, The Night Of è infatti ambientata in una cupissima New York dove il giovanissimo e insospettabile Nasir Khan (Riz Ahmed), figlio di un tassista pakistano, si ritrova – per una serie di eventi avvenuti nell’arco di una sola notte – accusato dell’omicidio della ventiduenne Andrea Cornish (Sofia Black D’Elia), ragazza dark, bianca e benestante. Da questa semplicissima e quasi quotidiana storia di presunta violenza metropolitana The Night Of ramifica una narrazione noir in cui la crime story si contamina ad una visione cruda e pessimista delle forze di polizia e delle istituzioni penali statunitensi, ritratto del malfunzionamento di un deus ex machina sistemico e di un potere sempre più orientato a colpevolizzare ancora prima di giudicare. Ci troviamo dalle parti di The Wire dunque, ma con un occhio che strizza da una parte alla sociologia di American Crime e dall’altra al realismo documentato da Making a Murderer.
Il realismo della burocrazia
L’episodio pilota (un’ora e venti minuti buoni) è forse uno degli incipit più innovativi nella storia delle serie televisive e ci introduce perfettamente all’approccio non convenzionale di The Night Of. C’è un racconto, quello della notte di Nasir, che procede meticoloso e quasi in tempo reale, documentato continuamente dalle videocamere di sorveglianza che vigilano sulla Grande Mela come in una sorta di Grande Fratello metropolitano. C’è uno spaccato sull’iter del sistema investigativo statunitense in caso di arresto e di incriminazione di presunti colpevoli che è quasi educativo per quanto è attinente alla realtà dei fatti. Ci sono lunghi tempi sospesi (quelli burocratici) fatti di angoscia, attese e tensioni che contribuiscono a rendere l’atmosfera livida imbastita con maestria da Robert Elsiwit qualcosa che ci avvolge lentamente, come fosse una nebbia di un mondo fin troppo reale e concreto. Ecco perché la storia di The Night Of, nella sua evidente semplicità, ci appassiona fin da subito: perché ci appare così terribilmente vera, complessa e credibile.
L’interconnessione dei generi
Questa complessità si riflette anche nella capacità della serie di cambiare continuamente genere: da crime drama si trasforma in prison movie. Da prison movie diventa un legal thriller. E così mentre i primi quattro episodi viaggiano su tempi stretti raccontando la vicenda di Nasir a distanza di pochi giorni, la seconda parte della stagione dilata ritmi e tematiche, dai drammi carcerari a quelli familiari, toccando anche topic sociali e politici fino ad arrivare a quello – attualissimo – del crescente razzismo nei confronti delle comunità islamiche. Ma in questa sua continua generazione di format e spunti narrativi The Nigth of continua a tenere i piedi per terra e non svolta mai in una direzione ben precisa: la sfida – riuscitissima – di Zaillian e Price non è infatti quello di risolvere in modo univoco i conflitti – legali, sociali e politici che mano a mano fanno capolino, ma di mostrarceli interconessi, interdipendenti e intercambiabili, come gli stessi protagonisti della vicenda.
Spessori e metamorfosi
Eccoci arrivati dunque al vero punto di forza di The Night Of: l’incredibile spessore psicologico dei suoi personaggi. La scrittura dei loro profili e dei loro dialoghi ce li rende fin da subito tanto particolari quanto enigmatici ed indecifrabili. Al bianco e nero si preferisce una scala di grigi dove non esistono vittime/carnefici o innocenti/colpevoli ma nella quale tutti nascondono fantasmi, vizi, debolezze che ne fanno pezzi unici di un puzzle umanissimo e vulnerabile, creature di un universo istituzionale in cui sono costrette, come degli ostaggi, a muoversi senza bussola in tasca. In questo modo la percezione che abbiamo delle varie pedine in gioco è destinata a cambiare puntata dopo puntata mentre verità e bugia diventano facce della stessa medaglia: la stessa parabola discendente di Nasir – che subisce una metamorfosi fisica e morale in cella – ci costringe a coltivare un dubbio sulla sua presunta innocenza (dubbio che in verità rimarrà fino alla fine), al contrario l’ascesa etica del detective Dennis Box (Bill Camp) ci farà invece rivalutare un personaggio che nelle primissime puntate ci aveva dato una sensazione tutt’altro che positiva.
Il corpo estraneo
E poi c’è lui: John Stone, il trasandato ed eclettico avvocato difensore interpretato da John Turturro (al suo posto ci sarebbe dovuto essere il rimpianto James Gandolfini che è omaggiato nei titoli di testa come Executive Producer), forse uno dei personaggi più interessanti partoriti negli ultimi anni dal piccolo schermo. Un mix dirompente che prende un po’ dal (Better Call) Saul di Breaking Bad qualcosina dal Colombo di Peter Falk e tantissimo dal Paul Newman de Il verdetto. Tormentato da un eczema ai piedi e con la sindrome (tenerissima) del buon samaritano nei confronti di prostitute e felini, John Stone è una vera e propria anomalia nell’oscurità antropologica in cui ci siamo sprofondati tanto che il suo prurito compulsivo pare un sintomo allergico nei confronti di una società in cui non si riconosce ma nella quale ha imparato ad adeguarsi e a destreggiarsi viaggiando sui binari della battuta e dell’autoironia. Sarà proprio grazie a questo suo simpatico disordine patologico che John Turturro emerge come un corpo estraneo e indigesto per l’equilibrato e grigio sistema di poteri di The Night Of: una sorta di San Francesco (con tanto di sandali) che attraversa un cinico mondo di animali sociali e ci costringe ad innamorarci del suo personaggio fin dai primi minuti della sua entrata in scena.
Da qualunque parte la guardiamo The Night Of ci restituisce dunque un prodotto perfetto: scrittura, messa in scena e interpretazioni sono all’altezza di tante opere cinematografiche che a fine anno si trovano a concorrere per qualche storica statuetta. Quello che doveva essere un progetto per far uscire dalla crisi una HBO fagocitata da Games of Thrones e con parecchi flop alle spalle (True Detective e Vinyl) non solo è la vera sorpresa dell’estate appena passata ma ha tutte le carte in regola per diventare, senza esagerare, la serie dell’anno.
The Night Of debutterà in Italia il 25 novembre su Sky Atlantic