Parliamoci chiaro, il primo Independence Day non è sicuramente l’apice della cinematografia del ventesimo secolo, ma ha saputo sfruttare nel modo giusto pochi semplici ingredienti. Aiutato ancora una volta nella stringatissima sceneggiatura dal Dean Devlin reduce del debutto con Stargate, il regista tedesco Roland Emmerich riuscì a guidare la sua pellicola verso la leggenda, pur senza la necessità di fornire allo spettatore alcuna motivazione, nessun “mambo jambo” scientifico e nessuna esplorazione del proprio universo narrativo. Il trucco fu tutto nel dare all’invasione aliena la connotazione di una catastrofe naturale, che avviene e basta, senza alcuna motivazione o spiegazione. E sappiamo tutti quanto Emmerich sia sempre stato a proprio agio con i disaster movie.
I nemici erano dei generici alieni venuti da un generico spazio su delle generiche astronavi, niente di più e niente di meno. Quest’intuizione apparentemente banale permise a Independence Day di diventare un vero e proprio film culto, a dispetto di ogni previsione.
Con un predecessore del genere questo sequel aveva l’ingrato compito di puntare ancora più in alto, riuscendo però ad aggiungere qualcosa alla formula essenziale del primo installment. D’altronde sono pur sempre passati vent’anni.
Il plot di Independence Day: Rigenerazione ripercorre a grandi linee quello del capitolo precedente: il mondo se la passa alla grande, i protagonisti incarnano stereotipi già visti e affrontano problemi che troveranno una soluzione alla fine del film, c’è un improvviso attacco alieno apparentemente inarrestabile e c’è un’insperata soluzione che permette di porre fine alla minaccia e salvare il pianeta terra.
Non tutto è già visto però: ci sono spunti interessanti come l’implementazione della tecnologia aliena nella vita dei terresti, conseguente la scongiurata invasione già raccontata nel 1996, una sorta di guerra civile tra umani e alieni sopravvissuti e una forma di connessione tra quest’ultimi e gli uomini con cui sono entrati in contatto. Tutti elementi potenzialmente ottimi per raccontare una nuova storia, od offrire almeno un nuovo punto di vista sulla storia di quello che nessuno si aspettava fosse più di un ottimo action movie sci-fi.
Purtroppo sembra che, con le prime esplosioni, gli sceneggiatori (sempre Emmerich e Devlin, ma con l’aiuto di Woods e Wright) perdano interesse nel set up cui era stata dedicata la prima mezz’ora e finiscano per riproporre un film tanto simile all’originale da sembrare a tratti un reboot.
Agli occhi delle nuove generazioni che non avevano mai visto il primo Independence Day probabilmente il film si mostra senza questa fastidiosa sensazione di dejà vu e rimane un prodotto più che ben fatto, dato che di certo Emmerich è un ottimo regista e sa come confezionare un film ricco di azione e scene spettacolari. Il problema è che nel frattempo il linguaggio cinematografico ci ha abituati a un diverso cinema ‘pop’, fatto di cinecomic dalle sceneggiature ben strutturate e dai molteplici livelli, e la formula del disaster movie alieno non riesce più ad avere l’impatto di un ventennio addietro.
Quel che, ancora una volta e non sorprendentemente, funziona a perfezione nei film di Emmerich è la spettacolarità. La scala epica delle scene d’azione (o meglio di distruzione) e la straordinaria CGI cui sono affidate offrono un’esperienza cinematografica estremamente soddisfacente, e il design della regina aliena e della nave madre sono di certo riuscitissimi. Nello specifico, le scene della distruzione di Pechino e Londra sono la quintessenza di quel che ha reso tanto influente il cinema del regista tedesco.
Quel che non funziona è l’effetto nostalgia, con cui il film fallisce in uno dei suoi elementi più importanti. Se infatti Jeff Goldblum e Bill Pullman (al quale è riservata un’ottima caratterizzazione) sono dei graditi ritorni, Will Smith rimane l’elefante nella stanza sala e la sua assenza dal cast si rivela il vero tallone d’Achille per una pellicola che dovrebbe essere forte dell’effetto revival. Più che dimenticabili le gag riservate al personaggio di Brent Spiner, completamente incompatibili col tono del film.
In conclusione il problema del film è forse proprio una profonda incertezza di tono, risultante dalla volontà di riproporre una formula ormai superata e dal maldestro tentativo di cambiare il peculiare equilibrio su cui si reggeva quasi miracolosamente l’Independence Day originale. Per gli spettatori con qualche anno alle spalle, la sensazione è quella di andare a cena con un ex che non vedete da tanto: avete passato bei momenti e conservate un bel ricordo, eppure basta poco tempo insieme per ricordare il motivo per cui è finita.
Rimane da capire se questa volta sia finita davvero. Il box office mondiale è di 385 milioni, e in confronto ai 165 milioni di costo è un risultato decisamente deludente, di quelli che fanno dire: “Stavolta basta”. Peccato, c’eravamo tanto amati…
La recensione di Independence Day: Rigenerazione
In sala il sequel del celebre sci-fi anni '90. È ben girato, spettacolare e con ottimi effetti speciali, ma è ancora tempo di disaster movie?