Squadra che vince non si cambia. Questo è lo schema seguito da Sharon Maguire, sceneggiatrice e regista di Bridget Jones’s baby, terzo capitolo della saga che vede protagonista l’eroina di tutte le donne tra i venticinque e i trenta anni. Stavolta Bridget (Renée Zellweger) è una bella donna in carriera, magra e senza mutandoni della nonna. Nuovamente single, ma più saggia e matura: per questo quando spegne, sola, le candeline del suo quarantetreesimo compleanno, sceglie il vino e non la vodka. In un’età non più verdissima e circondata dai vecchi amici sposati e figliati, decide di partire con una collega per un festival musicale. Come per magia incontra Jack (Patrick Dempsey) e trascorre con lui una notte indimenticabile. Ma si sa, quando si tratta di Bridget, il triangolo amoroso è dietro l’angolo. Ed ecco spuntare, solo una settimana dopo, il suo storico ex, l’affascinante e statuario (fin troppo) Mark Darcy (Colin Firth): i due si lasciano andare in nome del buon passato. Lei si ritrova incinta, felice ma senza certezze. Una su tutte: chi è il padre del suo bambino?
Arrivati al terzo capitolo della saga di Bridget Jones, considerando soprattutto la delusione del secondo, forse non ci saremmo aspettati molto: solite gag, capitomboli, figuracce, battute sporche e un finale scontato. Se Sharon Maguire torna finalmente a firmare la regia, è Emma Thompson ad aggiungere qualcosa alla pellicola: co-sceneggiatrice e interprete dell’esilarante ginecologa, è la guida spirituale di Bridget, anche se non vuol darlo a vedere, o magari non lo fa neanche di proposito. Nel pieno di un’ironia intelligente e divertentissima, la accompagna alla scoperta delle maternità, una realtà che tanto realtà non era prima di vedere una piccola macchia su una ecografia. Così è anche la mediatrice tra Jack e Mark, in continua competizione tra loro, capricciosi come bambini. Jack (se Patrick Dempsey ha un difetto è quello di essere inverosimilmente bello per questo film) è un Peter Pan cresciuto, ma mantiene la sfacciataggine, l’ipocrisia e il vizio della bugia come un bambino che vuol sempre arrivare primo. Mark, lo conosciamo bene fin dal primo film, tiene alta la bandiera del suo nome: proprio come Mr. Darcy di Orgoglio e Pregiudizio, è fiero e permaloso, ma ama ancora Bridget con ardore e tenerezza. Renèe Zellweger non si vedeva al cinema da tanto, tanto tempo e molti di noi l’avevano completamente dimenticata. Farla tornare nei panni del suo personaggio che più sta a cuore al grande pubblico, è stata sicuramente un’abile mossa. E anche se ci mancano un po’ quegli occhi piccoli ma vispi, le labbra a cuore e le guance piene, ha la grande fortuna di portare in scena una sceneggiatura impeccabile, dai difetti poco vistosi, tuttavia solida e che dona a tutto il film una struttura eccellente che mai ci aspetteremmo da una commedia di questo tipo. Se la gravidanza di Bridget non è una grande sorpresa (inconsciamente, forse, neanche per lei, perseguitata dalla madre fin dall’inizio perché le lancette della sua fertilità si fermeranno presto), il film si muove su una linea per niente scontata: sullo sfondo della causa seguita da Mark, quella del diritto di protesta da parte di femministe incallite, Bridget è, senza mai dirlo, la più femminista di tutte. È veramente necessario sapere chi sia il padre del bambino? È veramente importante scegliere quale dei due sarà quindi l’uomo della sua vita? In una scena meravigliosa, dal sapore estremamente comico e dove si vede chiaramente il tocco della regista del primo capitolo della saga, Bridget è portata in braccio fino all’ospedale da Jack e Mark come un sacco di patate, proprio mentre le proteste femministe bloccano il traffico di Londra.
Comico, ironico, divertente, per nulla melenso e soprattutto disinteressato agli sdolcinati e scontati resoconti della gravidanza, il film ci dona una nuova Bridget Jones, né invecchiata, né ringiovanita, semmai più consapevole di sé, ha ormai anche le quarantenni dalla sua.
Bridget Jones’s Baby: la recensione del terzo capitolo
Di Elena Pisa
Renée Zellweger torna per la terza volta a vestire i panni dell'amatissimo personaggio che l'ha resa celebre, stavolta alle prese con un bambino.