Piuma di Road Johnson, che in un ambiente di cinema d’autore come il Festival di Venezia potrebbe suscitare scontentare i palati più cinefili, è comunque un film da non lasciarsi scappare.
La storia di Ferro e Cate, due ragazzi come tanti, ai giorni nostri. Una gravidanza inattesa e il mondo che inizia ad andare contromano: la famiglia (quella accogliente e “normale” del ribelle Ferro, quella sgangherata e fuori dagli schemi della più assennata Cate), la scuola (i fatidici esami di maturità), gli amici (che sì, li capiscono, ma devono partire per il viaggio organizzato dopo gli esami), il lavoro (che non c’è). Tra tentennamenti e salti nel buio, prese di responsabilità e bagni di incoscienza, i due protagonisti attraverseranno i nove mesi più emozionanti e complicati della loro vita, cercando di non perdere la loro purezza e quello sguardo poetico che li rende così speciali.
Piuma riesce a fondere due fortissime comicità italiane: la romana, coatta e un po’ rude, inconfondibile, messa in scena dal protagonista “Ferro” (Luigi Fedele) e quella toscana, “bischera”, altrettanto inconfondibile e propria della famiglia di Ferro, più congeniale alla provenienza del pisano Johnson, che già l’aveva ben sfruttata nella saga del Barlume. Divertimento per tutte le età e le regioni.
Il regista rifiuta poi tutte le convenzioni registiche della commedia; pochi tagli e molti piani sequenza. La telecamera si annulla e lo spettatore diventa parte delle conversazioni, del primo incontro tra i genitori dei ragazzi, delle cene, dei litigi, della badante che insegue il nonno. La pellicola diventa una serie di piccoli piani sequenza, da qualche minuto ognuno, un po’ come sono, o meglio erano, i film di Garrone prima di Lo cunto dei cunti. La grande abilità della sceneggiatura sta nel rendere divertente, spensierata, leggera, una vicenda che di norma dovrebbe essere tragica, come la gravidanza indesiderata di una coppia di diciottenni e per questa la critica principale che si può muovere verso il film è dovuta alla sua inverosimiglianza, alle volte eccessiva leggerezza e ad un messaggio che a molte persone può, tutto sommato, dare fastidio. Eppure Piuma è uno spiraglio di luce all’interno della brutta situazione della commedia italiana, trita e ritrita, dove ogni film sembra essere figlio di quello precedente. Johnson, che già aveva convinto con Fino a qui tutto bene, dimostra di essere un talento da tenere d’occhio, indipendente fino al midollo (anche questa volta non rinuncia alla telecamera a mano) e in grado di mettere in piedi buoni film con pochi mezzi e senza attori famosi.
Piuma non è il Juno italiano, e la stampa estera a Venezia l’ha poco considerato; ciononostante, mantiene le sue promesse e regala un’ora e mezza di spensierate risate.
Venezia 73: la recensione in anteprima di Piuma
Il nuovo film di Roan Johnson, presentato in concorso a Venezia, è una divertente commedia adatta a tutte le età.