Dentro l’Inferno (Into the Inferno) è l’ultimo film di Werner Herzog che, contrariamente al titolo, ha aperto le porte del Paradiso ai cinefili che hanno potuto godere dell’anteprima mostrata alla Festa del Cinema di Roma e che arriverà su Netflix a partire dal 28 ottobre.
Il documentario del regista tedesco fa tappa in Australia, Islanda, Corea del Nord e Indonesia, nei siti dove risiedono i vulcani attivi più pericolosi del pianeta. Dell’interesse di Herzog verso i vulcani si ha traccia già dal 1977 con l’uscita del suo La Soufrière, in cui documentò il rifiuto di un contadino ad evacuare l’isola di Guadalupe per l’annunciata e imminente eruzione della Grande Soufrière, cercando di capire i motivi che spingevano l’uomo a mettere a rischio la propria vita. Allora come ora, in Dentro l’Inferno, quello di Herzog non è soltanto un viaggio fisico ma è anche e soprattutto la ricerca e l’invito alla profondità di pensiero, ad emozionarsi, a saper cogliere la bellezza e fermarsi ad ammirarla, ad assumersi responsabilità e rischi ma ad avere cura di sé stessi, a prendere coscienza dei pericoli, ad accettare il cambiamento con equilibrio e consapevolezza perché l’ignoto può distruggere se le persone e i popoli stessi gli assegnano il potere distruttivo.
Come vi abbiamo già detto Into the Inferno sarà disponibile sul web service di Los Gatos a partire da fine ottobre, ma nel frattempo per caricarvi e se nella vostra cineteca manca ancora, vi consigliamo la visione di Cave of Forgotten Dreams (2010) dove, unico al mondo, Herzog entra con la macchina da presa nella Grotta Chauvet, in Francia, dove sono conservati alcuni dipinti rupestri risalenti a 32mila anni fa.
A settant’anni suonati il cineasta tedesco si arrampica in cima ai vulcani più minacciosi al mondo in compagnia del vulcanologo inglese Clive Oppenheimer, e la sua voce fuori campo guida lo spettatore attraverso racconti di persone, di personaggi, di fatti, episodi, misteri veri o presunti, credenze irrazionali, azioni irresponsabili, riti coercitivo-oppressivi, usanze folcloristiche. Il linguaggio è nello stesso tempo divulgativo e poetico e da questo punto di vista la cifra stilistica di Herzog è inconfondibile (sua, ovviamente, anche la sceneggiatura). Accanto a ciò l’attendibilità scientifica è garantita grazie al contributo di Oppenheimer, autore tra l’altro di un volume che ha ispirato il film.
I vulcani sono i luoghi del cambiamento, i segni lasciati da un Dio, uno Spirito o un Demone per ricordarci che tutto è movimento: la crosta terrestre, il terreno su cui ci muoviamo, l’arte, la natura, il pensiero.
La metafora di Herzog ci accompagna alla ricerca dell’Uomo, del primo Uomo da cui tutto ebbe inizio prima che cambiasse il colore della pelle, prima che si popolassero le aree geografiche, prima della nascita delle lingue. Di lui non rimangono che piccoli frammenti ossei sotto la polvere dei deserti. O forse no, perché credere che esista davvero un unico Uomo che racchiuda e raccolga in sé tutte le diversità del globo è solo un’esigenza, una difesa, un’illusione o magari un gioco per non prendersi troppo sul serio. I vulcani di Herzog sono anche il confine tra la dignità e la truffa. Quando affidiamo poteri di vita e di morte nelle mani di un Dio, di uno Spirito o di un Demone, i vulcani di Herzog diventano le sentinelle di un gioco che può farsi “magmatico” e troppo pericoloso. E allora prima che una colata lavica seppellisca le coscienze meglio credere piuttosto nella resurrezione del soldato John Frum che alla fine dei tempi si presenterà donando a tutti cibo, bevande e Cadillac.
Una parola a parte la meritano le immagini. La potenza visiva di Into the Inferno lascia a bocca aperta dal primo all’ultimo minuto. Non sappiamo quanti registi al mondo siano in grado di dare peso, volume, densità, spazio e profondità senza l’ausilio del 3D. Werner Herzog ne è capace e quando risale pian piano la china della montagna e in vetta si palesa la bocca del vulcano l’effetto precipizio è vertiginosamente reale. Allo stesso modo attraverso inquadrature straordinarie del magma incandescente all’interno delle attività vulcaniche, lo spettatore è in grado di comprende bene e a fondo il significato delle parole di un capo tribù che afferma “Ho visto il fuoco e ho avuto paura”. A chi avrà il piacere di vedere il film non sfuggirà poi, e non potrà non apprezzare, l’accostamento per immagini che indaga sul rapporto tra vulcani e totalitarismi piuttosto che tra vulcani e credenze magiche o religiose. Se tutto ciò vi sembra ancora poco o se, al contrario, avete la percezione che si tratti del solito polpettone pesante e indigeribile, diciamo subito che vi state sbagliando. L’ironia, infatti, è un’altra grande caratteristica di una pellicola costellata di personaggi singolari e divertenti, raccontati con leggerezza e intelligenza.