Ci siamo. L’attesa è finita: è finalmente tornata Black Mirror, la serie antologica ideata da Charlie Brooker che esplora con una serie di mediometraggi slegati tra loro il rapporto conflittuale tra società e nuove tecnologie. Per i nuovi episodi la produzione della serie culto passa dalla britannica Channel 4 al colosso statunitense Netflix (che già aveva acquisito i diritti di distribuzione dei 7 episodi realizzati in precedenza), guadagnando un budget ben più considerevole, beneficiando di una release in contemporanea mondiale ma mantenendo – ed è questo che conta – lo showrunner che fin qui ha garantito la straordinaria qualità del prodotto.
GRANDI NOMI PER UNA VEROSIMILE DISTOPIA COLOR ROSA CONFETTO
Dal primo episodio del nuovo ciclo è già evidente l’effetto Netflix, almeno nel casting di una protagonista il cui ingaggio sarebbe stato economicamente impensabile per Channel 4: la talentuosissima Bryce Dallas Howard (Jurassic World, Il drago invisibile, Spider Man 3, The Village). Alla regia Joe Wright (autore di Anna Karenina, Espiazione, ma anche del sottovaluto Hanna), su uno script di Rashida Jones (più celebre per i suoi lavori come attrice) e Michael Schur (veterano del Saturday Night Live e di The Office).
Nosedive, primo episodio della terza stagione, è ambientato in un futuro ‘roseo’ e ‘solare’ – ma non per questo meno distopico – in cui le interazioni sociali sono governate da un onnipresente social network su cui chiunque è chiamato ad attribuire un voto alle persone con cui entra in contatto, e che di fatto diventa tanto un catalogo degli individui di maggior successo quanto una ‘tavola di proscrizione’ dei soggetti meno popolari. Un’interfaccia in realtà aumentata incorporata in un’apposita lente permette di visualizzare in tempo reale il punteggio medio delle persone con cui si entra in contatto, e rende quindi il conseguimento di un ranking alto l’unica soluzione per evitare lo stigma sociale. La vita pubblica si trasforma così in un’esasperante recita in cui tutti fanno l’impossibile per piacere a chi hanno intorno e in cui la ‘caduta a picco’ – questo il significato del titolo – della popolarità è una terribile minaccia sempre pronta a distruggere la vita dei malcapitati che la sperimentino.
Non lasciatevi ingannare dall’estetica meravigliosa: la strada che porta verso una quotidianità che si trasforma in un grande spot di noi stessi è pericolosamente a portata di mano e per questo Nosedive è uno degli episodi di Black Mirror in cui la distopia si fa in assoluto più indigeribile. Qui l’impatto della tecnologia sul genere umano è ben più distruttivo rispetto a quello raccontato in molti film in cui si immagina un futuro sporco e post-apocalittico, e non c’è nemmeno bisogno di alcuno sforzo di fantasia, dato che già oggi qualsiasi ufficio di risorse umane verifica su Facebook la reputazione di chi si sia sottoposto a un colloquio di lavoro, e che basta andare sull’app store e scaricare Peeple per constatare come già ora siano disponibili applicazioni come quella mostrata nell’episodio (fortunatamente accolte da un’ondata di scetticismo e riprovazione che almeno per il momento ne hanno fermato l’ascesa).
UN CAST TECNICO DI PRIMO PIANO VUOLE RACCONTARCI LA MALINCONIA
La mostruosa condizione che fa da premessa al mediometraggio fa gelare il sangue nelle vene, eppure non è sulla paura che stavolta fa leva Black Mirror, bensì sulla tristezza; una tristezza nascosta dai sorrisi finti, molto poco fantascientifica e anzi molto concreta, che ha a che fare con l’entusiasmo con cui, un po’ alla volta, stiamo lasciando che la poesia della vita ceda il posto all’esternazione della finzione. Il direttore della fotografia Seamus McGarvey (autore delle straordinarie immagini del suggestivo Animali Notturni di Tom Ford) illumina il mondo in cui si muove la Howard di una soffusa luce rosa che riporta immediatamente alla mente un altro capolavoro che potrebbe essere ambientato nello stesso universo narrativo: Her di Spike Jonze. Il montaggio elegante eppure così ‘epilettico’ nei momenti finali è di un talento italiano, l’editor Valerio Bonelli (montatore anche di Florence Foster Jenkins di Frears, recentemente visto alla Festa del Cinema di Roma), mentre le dolci musiche di Max Richter (già responsabile delle atmosfere malinconiche di The Leftovers) ci restituiscono il senso di quanta umanità stiamo lasciando alle nostre spalle. Con tanta empatia, non si può che confrontare continuamente quel futuro con il nostro presente.
Il principio di fondo dietro quanto raccontato, cioè il progressivo pervertimento dell’immagine (il cui significato etimologico è, non a caso, ‘doppio prodotto’), è l’estremizzazione dell’innocente bisogno che avevano una volta i nostri genitori di riempire album cartacei di polaroid scattate nei momenti da ricordare. Eppure ora non è a noi stessi bensì agli altri che dobbiamo ricordare quanto siamo felici. E la felicità, almeno nella narrazione sui social network, sembra diventata una merce tutt’altro che rara: ogni serata con gli amici merita delle foto in cui taggare e taggarsi, e anche se in fondo può capitare di annoiarsi un po’, il racconto dev’essere sempre superlativo, amplificato da emoji, ottimizzato da filtri fotografici, geolocalizzato a conferma della nostra presenza sul posto. Stiamo costruendo un mondo a misura di finzione di cui quello mostrato in Nosedive non è che la naturale evoluzione.
NOSEDIVE PORTA IN SCENA TIMORI RISALENTI AL 1967 CON UN’ESTETICA VINTAGE
Quando si parla di onnipresenza dei media viene molto spesso citato – il più delle volte a sproposito – il meraviglioso romanzo 1984 in cui Orwell, nel ’48, immaginò un ‘Grande Fratello’ autoritario che limitava la nostra libertà spiandone ogni attimo. In realtà, nell’era della disperata ricerca del like o nel meccanico ‘racconto’ di sé tramite i selfie, la gabbia ce la siamo costruita da soli e quello della crescente distanza tra la vita vera – vissuta e assaporata – e un finto successo, ostentato tramite i post sui social, è un tema cui dovremmo tutti pensare con maggior consapevolezza; un tema che riporta prepotentemente alla memoria considerazioni risalenti a tempi ‘non sospetti’. Guardando infatti al passato, in parte richiamato dai meravigliosi costumi in stile anni ’50 di Sinéad O’Sullivan, non si può non pensare a quel che scriveva il situazionista Guy Debord nel suo La Société du Spectacle (1967): “L’intera vita delle società, in cui dominano le moderne condizioni di produzione, si annuncia come un immenso accumulo di spettacoli. Tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione“. La profezia di Debord si sta avverando, e chi vi scrive non nasconde un certo disgusto per il mondo che stiamo costruendo, drogato di immagini autoreferenziali e reso sempre più bidimensionale dalla trasformazione della felicità (ma anche del disagio) in cliché da postare su Facebook o Instagram. Per fortuna internet è anche e soprattutto una ricchezza, ed è proprio grazie a un web service se un capolavoro come Black Mirror, senza alcuna retorica, si fa carico di diventare la coscienza critica del nostro presente.
In conclusione Nosedive è un piccolo grande capolavoro, nonché una delle vette più alte toccate dalla serie. Lo ‘specchio nero’ è tornato ed è straordinario come sempre, ma quel che vi vedrete riflesso potrebbe non piacervi.