Il flashback iniziale di Pay the ghost ci porta nel 1679 quando New York era appena un sobborgo. Tre ragazzini impauriti si sono rifugiati nel sottoscala e ascoltano le grida di terrore della madre provenienti dall’appartamento, finché qualcuno non trova anche loro. Subito dopo siamo ai giorni nostri, stessa città e quartiere della classe media dove abitano il padre Myke (Nicolas Cage), la madre Kristen (Sarah Wayne Callies) e il figlioletto Charlie (Jack Fulton), famiglia felice; lui professore universitario, lei creativa. Arriva la festa di Halloween e Mike porta il bambino a fare una passeggiata in mezzo alla folla mascherata ma Charlie scompare sotto i suoi occhi. La coppia va in crisi, la polizia brancola nel buio finché le ricerche che l’uomo inizierà in completa solitudine, aiutato soltanto da una sua collega insegnante, lo porteranno a recuperare il rapporto con la moglie e ad affrontare una torbida storia di fantasmi, epidemie, credenze popolari, presunte stregonerie, portali che si aprono e si chiudono tra presente e passato.
Di materiale ce ne sarebbe abbastanza ma regia e sceneggiatura scelgono purtroppo la strada del più elementare minimalismo e non riescono a dare un briciolo di transfert tra pellicola e pubblico. La mostruosità degli argomenti trattati, che farebbero la gioia di quei registi che saprebbero come lavorare sull’immaginario degli spettatori per generare tensione e inquietudine, qui invece passa davanti agli occhi senza colpo ferire. In 85 minuti di girato non si trova una cosa che sia in grado anche solo di far sperare in un salto di qualità. Nicolas Cage non fa altro che timbrare il cartellino, come anche Sarah Wayne Callies, ma senza gli “straordinari”anche nel cinema diventa dura portare a casa la pagnotta. I registri del film di genere sono prevedibili e, cosa ancor peggiore, vengono annullati dall’atmosfera generale di un film in cui, si ha la sgradevole impressione, l’apparato per primo sembra non crederci.
Infine un’ultima considerazione che ci pone al limite dell’imbarazzo ma purtroppo chi ha già visto il film sa che riporteremo tutto letteralmente. Prima della sua brutta avventura il piccolo Charlie ha delle visioni inquietanti, tra cui un enorme corvo che lo segue dall’alto. Dopo un po’ il bambino vuole essere rassicurato dalla madre. Questo il breve dialogo tra i due: “Mamma lo hai visto?” – “Cosa tesoro” – “L’uccello”. Il problema è che nello stacco precedente la donna, come tutte le mogli di questo mondo, aveva avuto un “incontro” notturno con suo marito. Ok, è vero che chi ama il cinema viviseziona maniacalmente le sequenze ma una volta realizzato che si sta ancora guardando un thriller/horror e non una pellicola di Alvaro Vitali, delle due l’una: o è stato uno svarione in fase di montaggio/doppiaggio oppure si è voluto strizzare l’occhio al pubblico e portarselo dalla propria parte. In ogni caso la citazione ci serve proprio per evidenziare la pecca maggiore della pellicola, cioè quella di rappresentare la storia esclusivamente dalla parte degli adulti. Non c’è un solo istante, ad esempio, in cui la macchina da presa ci fa vedere il punto di vista dei bambini, che pure sono al centro di tutta la vicenda. E così l’empatia con i personaggi alla fine è nella voce “non pervenuta” e della tensione che le immagini dovrebbero indurre sullo spettatore non c’è traccia. Tutto ciò francamente non depone a favore di un film di genere ma, soprattutto, non depone a favore di un regista, il tedesco Uli Edel, che nel 1981 ha girato nientemeno che Chrisitane F. – Noi ragazzi dello zoo di Berlino.
Pay The Ghost: la recensione
Nicholas Cage è protagonista di un nuovo horror che ruota intorno alla scomparsa di un bambino per poi esplorare una moltitudine di cliché confusi.