All’interno della rassegna American Politics del Festival del Cinema di Roma ha trovato spazio uno dei film più atipici del regista americano Steven Spielberg. Stiamo parlando di Lincoln, pellicola del 2012, che collezionò ben 12 nomination agli Oscar, vincendone solo due. Spielberg decide, fortunatamente, di non fare un biopic tradizionale sul presidente americano, ma ne ripercorre precisamente gli ultimi quattro mesi di vita, durante i quali cercò di fare approvare il XIII emendamento della Costituzione americana, grazie alla quale fu definitivamente abolita la schiavitù negli Stati Uniti. La ricerca dei voti e delle alleanze è il motore che muove la trama del film, che ripercorre appunto le battaglie politiche e personali di Lincoln, proprio alla fine della Guerra di Secessione, quando cioè lo troviamo alla fine delle sue energie di Presidente, di marito e di padre.
Se le dodici nomination agli Oscar suscitarono tra i più parecchie lamentele, bisogna dire però che questo è un film estremamente anomalo nella carriera di Spielberg, regista di azione, fantasia e totalmente al servizio della spettacolarizzazione. Indiana Jones e il regno del teschio di cristallo fu giudicato la pietra dello scandalo dagli stessi fan della saga, e Le avventure di Tintin- Il segreto dell’unicorno, nonostante la buona materia sia visiva che narrativa, non rientrò minimamente tra i suoi film memorabili. Diciamo pure che, quindi, la fiducia nei confronti di questo film non era così alta. Spielberg riuscì invece a portare a casa un buon risultato forse proprio perché si distaccò moltissimo dallo stile che lo caratterizzava fino a quel momento, lasciando da parte virtuosismi registici e concentrandosi maggiormente sulla qualità della storia (il cui soggetto appartiene al romanzo di Doris Kearns Goodwin) e sul profondo rispetto che il regista ha sempre dichiarato nei confronti di Abraham Lincoln. La scenografia curatissima e dettagliata che vinse l’Oscar quasi senza rivali, era un grande personaggio non riconosciuto all’interno del film, ma le atmosfere che crea sono alla base di tutto il filo poetico che sorregge il film. La macchina da presa, è pienamente al servizio dei personaggi, sempre impegnati in lunghi dialoghi che comunque non tolgono ritmo e intensità alla storia. Sally Field interpreta la moglie Mary Todd Lincoln e interpreta magistralmente questa piccola donna sospesa tra il dolore per la perdita di un figlio e il suo ruolo di first lady, un ruolo non di apparenza ma di vero braccio del marito. Tommy Lee Jones è Thaddeus Stevens, politico e tra i maggiori sostenitori dell’abolizione della schiavitù, è semplicemente fantastico, mai sopra le righe, sa che per fare una buona interpretazione non servono manierismi. Vecchia scuola, vince sempre.
Infine Daniel Day-Lewis è, come sempre, una garanzia: perfetto nella fisicità e delle espressioni, non rende il personaggio il santo che ha liberato il mondo dalla schiavitù, ma ne mostra i difetti, le incomprensioni con la moglie, il rapporto burrascoso con il figlio, le paure e le preoccupazioni di un uomo che sa essere vicino alla fine. In Italia, purtroppo, è rovinato da un doppiaggio furbo: è Pier Francesco Favino a prestargli la voce, che però, si sente essere di un uomo troppo giovane (e di un attore senza esperienza di doppiaggio), per il Presidente gigante.
Il grande difetto del film però è questo: è una pellicola totalmente creata e impacchettata per piacere all’Academy. Il patriottismo, come quasi in ogni film di Spielberg, è ostentato fino ad essere stucchevole e chiaramente poco digeribile per chi non si sente partecipe della favola del grande sogno americano.
Dall’altro lato però, il film resta uno studio non solo sulla politica statunitense, ma sulla politica in genere, intesa come sistema di incontri e compromessi tra uomini che siano uguali e non superiori al popolo.
Non sarà un capolavoro, ma forse è il momento giusto per guardare con altri occhi questo film, che sicuramente non parla solo del passato, ma anche del presente e soprattutto di un futuro più imperscrutabile che mai.
RomaFF11 – Lincoln: la recensione del dramma storico di Spielberg
Di Elena Pisa
La rassegna American Politics ripropone nell'ambito della Festa del Cinema di Roma il film con Daniel Day-Lewis che ricevette 12 candidature agli Oscar.