Claudia Sainte-Luce presenta il suo quarto lungometraggio: La Caja Vacía, una storia autobiografica, raccontata con delicatezza e passione.
Presentato nella selezione ufficiale della Festa del Cinema di Roma, il film ha come protagonisti un padre e una figlia che dopo molti anni si ritrovano a vivere insieme. Claudia Sante-Luce tratta con estrema gentilezza i suoi personaggi, non prendendo le parti di nessuno. Al principio seguiamo Jasmìn andare in giro, finchè non incontra il padre, a distanza di anni. Attraverso dei flashback la ritroviamo bambina, davanti un padre severo, chiuso al dialogo, che la tratta come un’adulta. La macchina da presa le sta dietro, si stringe su primissimi piani e la incornicia in spazi stretti. Lei sembra soffocare tra le pareti del suo monolocale, rinchiusa nel ristorante dove lavora, ancorata al terreno su cui cammina. Intrappolata nella sua vita, di cui non è padrona, si perde in quel piccolo spazio, non è mai centrata nell’immagine, ripresa a 45°, di spalle o al lato estremo dell’inquadratura. Il film segue il suo punto di vista, finché Toussaint (il padre) a causa di una malattia, va a vivere da lei. La prima mattina, in cui lei si risveglia a fianco al padre, è al centro dell’immagine, qualcosa sta cambiando. Un’invasione improvvisa a cui Jasmìn reagisce con repulsione, cerca di mantenere distacco, ancora arrabbiata per la sua assenza. A Toussaint viene diagnosticata la demenza senile, malattia degenerativa che lo fa tornare bambino. I ruoIi si invertono, ora non è più lui a dire cosa sia giusto, cosa bisogna fare e come comportarsi, ora è lei a prendersi cura di entrambi.
La regista lo mette in luce stringendoli insieme nell’obiettivo e dividendosi seguendo l’uno e l’altro. Conosciamo così il passato sofferto di Toussaint, a causa della crudeltà umana e i giochi di potere, a cui si fa allusione senza mai dare una spiegazione esaustiva.
Claudia Sante-Luce mostra la complessità di un uomo e una donna, un padre e una figlia, tra rabbia e perdono. Non li giudica mai, ma allo stesso tempo non è neanche imparziale, lei prende due posizioni, difende e accusa entrambi con la stessa forza e dolcezza.
Una partecipata imparzialità che si regge sul contrasto di quelle inquadrature strette, come un abbraccio o un tentativo di strangolamento. La luce è fredda, non c’è una colonna sonora, ma i suoni dei passi, del cibo sgranocchiato e la canzoncina che cantava da bambina. Rumori che riecheggiano il vuoto dell’assenza, nel gelo della solitudine. Tutto è in un equilibrio precario, tutto è destinato al disfacimento, si sgretola, viene a mancare, finisce, muore.
Jasmìn doveva ritrovare il padre e delle risposte per capire chi fosse e affrontare la sua vita e Toussaint doveva liberarsi dal dolore che ha cercato di reprimere per una vita intera. Si liberano a vicenda e rinascono ognuno a suo modo, come concerne alle loro situazioni e alla loro età.
La Caja Vacía: la recensione in anteprima
Claudia Sainte-Luce alla Festa del Cinema di Roma con La Caja Vacía, una storia di affetto e cambiamento.