Elio e le storie tese non hanno bisogno di presentazioni. Formatisi nel 1980, hanno trascinato nella follia milioni di ascoltatori, eppure davvero pochi sono informati sui membri della band. Stefano Belisari – alias Elio – e gli altri hanno trovato altre identità, diventando personaggi di una storia ambientata nella realtà. In un tempo dominato dai social, in cui siamo tutti rintracciabili e schedati, loro mescolano le carte in tavola, confondendo verità e finzione. La musica è un’altra cosa dalla fama, è arte e ha un potere superiore ai giochi sociali ed economici. Questo lo dimostrano anche nei loro progetti: criticando un sistema veicolato dalla monetizzazione, che mette a repentaglio secoli di ricerca tecnica, loro rilasciano canzonette. Brani dal significato testuale dubbio, che nascondono invece una profonda conoscenza musicale: una critica mirata al mercato del consumo, a cui danno quel che vogliono, senza tradire la loro etica artistica. “Esiste solo musica bella e brutta – dice Elio nel film – e fare uno sforzo non serve, perché siamo bombardati da bassa qualità”.
Mattia Colombo ha deciso di raccontare le persone dietro ai personaggi e lo ha fatto con Ritmo Sbilenco – Un filmino su Elio e le storie tese. Proprio come quei filmini che si girano per avere memoria di momenti familiari e personali, il regista, a capo di un gruppo di allievi delle Officine, ha seguito i musicisti. Ogni membro della band si è dato a suo modo e quelli che all’inizio erano restii poi hanno ceduto a partecipare, per avere un ricordo di questo tempo, quando gli anni passeranno.
Dalla terza partecipazione a Sanremo fino al febbraio seguente scopriamo un gruppo che mantiene nella vita la stessa vivacità che presenta sul palco. Trapela giusto un po’ di preoccupazione in più, che cercano di mascherare. Li vediamo nello studio di registrazione, in cui sembrano scordarsi di essere guardati e assistiamo al loro processo creativo. Suonano e si confrontano, per comporre insieme, unendo forze e idee. Poi li ritroviamo con i loro figli, con gli amici invitati a cena, persi nelle necessità, oppure Zuffellato che insegna musica e Fasani (Faso) che allena i ragazzi a baseball. Ognuno ha il suo piccolo angolo d’amore.
Colombo è stato presentato al gruppo da Soldini, che non è stato solo il garante, ma anche il modello.
Ritroviamo nel documentario il ritmo di Soldini, lento, che si presta all’ascolto, lasciano che le cose accadano per registrarle, senza interferire.
Silenziosamente la troupe ha seguito i protagonisti, che sono stati co-autori dell’opera, perché erano loro a scegliere cosa far vedere. I momenti più interessanti risultano infatti quelli in cui si scordano della macchina da presa, in un fuori controllo testimone di autenticità. Il montaggio è un puzzle di pezzi che non combaciano, ma si affiancano, ognuno racconta un evento unico, non strettamente funzionale all’altro.
Si rispetta la missione di smascherare Elio e le storie tese, nonostante si rischia di lasciare distrarre il pubblico per l’assenza di un climax. Si segue una lunga strada, senza dei punti chiari dove aggrapparsi. In questo modo sarà di forte interesse per i fun, risultando meno accattivante per chi non li conosce o conosce poco. D’altra parte la stessa band non è alla ricerca di consenso, bensì richiede una partecipazione attiva del pubblico che deve andare incontro, capire e interpretare.
Ritmo Sbilenco – un filmino su Elio e Le Storie Tese: la recensione in anteprima
Elio e Le Storie Tese sono protagonisti del documentario di Mattia Colombo, che ci regala uno sguardo inedito sulla band.