I silenzi sono tra i momenti più difficili da calibrare al cinema. Ne La pelle dell’orso, film tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Righetto, il regista Marco Segato – qui alla sua prima esperienza con una pellicola di finzione – cerca di far convergere un gusto autoriale con un film di genere.
Ambientato negli anni Cinquanta, il film racconta del rapporto tra Domenico e suo padre Pietro, il quale accetta una scommessa che si potrebbe rivelare alquanto pericolosa: l’uomo proverà a uccidere l’orso che minaccia il loro piccolo paese sulle Dolomiti.
Il film, dedicato alla memoria di Carlo Mazzacurati, è stato definito dal regista “un grande lavoro di squadra”: Marco Paolini (anche protagonista del film nei panni di Pietro) ed Enzo Monteleone hanno affiancato Segato nella scrittura e nella trasposizione dal libro al film. La pelle dell’orso presenta la struttura narrativa di una favola di formazione, ma in realtà è un film di lunghi e prolungati silenzi in cui alle parole si preferisce sempre uno sguardo, un gesto o un rumore della natura. Una poetica particolare, per non dire anomala per un’opera prima italiana, che riflette la provenienza dal mondo del documentario del regista. Gli stupendi ambienti naturali sono osservati con un occhio attento e particolareggiato e la fotografia di Daria D’Antonio favorisce figure buie e colori grigi che riflettono i sentimenti dei personaggi.
Se l’ambiente rimane impresso nella mente dello spettatore, lo stesso non si può dire per i due protagonisti. Domenico e Pietro sono al centro di un complesso rapporto padre e figlio e contemporaneamente di una relazione più estesa che vede l’incontro/scontro tra uomo e natura. Tali tematiche, però, non sono argomentate dalla sceneggiatura ridotta ai minimi termini: non si riesce ad empatizzare con il giovane ragazzo o con il padre perché i dialoghi non lo permettono e le pochissime scene che mostrano un confronto tra i due non lasciano molto spazio alla parola. Una scelta stilistica ben precisa e a suo modo compiuta che, tuttavia, se affiancata a una storia prevedibile in tutti i suoi sviluppi, può essere particolarmente rischiosa.
È preferibile rimanere concentrati sulle atmosfere e i bellissimi paesaggi naturali, perché le psicologie rimarranno oscure almeno quanto gli ambienti stessi.
La pelle dell’orso: la recensione in anteprima (no spoiler)
Il primo film di finzione di Marco Segato porta in scena l'omonimo romanzo di Matteo Righetto. Marco Paolini oltre a interpretare contribuisce allo script.